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Vapit risponde a Intergruppo: “Fai-da-te legittimo, la tassa no”

All'intergruppo parlamentare che ha lamentato il mancato introito preventivato derivante dall'imposta sulle sigarette elettroniche anche a causa di acquisti di prodotti esteri e fai da te risponde Vapit, l'associazione dei consumatori: "Non viene infranta alcune legge ma soprattutto il vapore non è tabacco, sarebbe come tassare l'acqua per il consumo di alcoolici".

di Stefano Caliciuri

Botta e risposta tra l’intergruppo parlamentare sulla sigaretta elettronica e l’associazione dei consumatori Vapit. Mentre i primi lamentano mancati introiti nella casse dello Stato di circa 80 milioni di euro, i secondi ricordano che il vapore non è fumo e dunque nessuna tassa dovrebbe essere applicata. Anzi, l’impegno politico e la salvaguardia degli interessi del settore dovrebbe dare l’assoluta priorità alla separazione normativa del vaping dal tabacco.
Sebastiano Barbanti (Pd) e Ignazio Abrignani (Ala), attraverso un comunicato stampa, hanno diffuso le cifre del mancato gettito incamerato dalle casse erariali. “I liquidi da inalazione – è la premessa di Barbantistando alle attuali previsioni assestate, raccontano di soli 5 milioni di entrate, a fronte degli 85 previsti. Se calcoliamo inoltre che questo è il secondo anno in cui questa situazione si ripete, possiamo definire fallimentare questa imposta. Infatti il conseguente aumento dei prezzi di oltre il 150% ha generato una forte richiesta di prodotti esteri che, in totale assenza di controlli fiscali alle frontiere, ha creato gravi danni economici alle aziende italiane rispettose della legge. Di conseguenza, sono mancate entrate per quasi duecento milioni di euro”. Spetta ad Abrignani continuare il ragionamento, ipotizzando le soluzioni. “Appare chiaro che alla base di tale evidenza vi è la totale mancanza di controlli fiscali e sanitari per i liquidi che entrano in Italia dall’estero che, sommati al comportamento elusivo dei consumatori che comprano separatamente gli ingredienti per poi miscelarli con la tecnica del ‘fai da te’, oltre a creare un buco nel bilancio atteso, apre spazi preoccupanti riguardo la salute dei consumatori. Non essendo possibile risalire alla provenienza di certi liquidi da inalazione, risulta necessario quindi mettere mano ad un’imposta di consumo che evidenzia tutti i limiti concettuali e tecnici su cui da tempo andiamo discutendo. Ricordiamo pertanto al Governo la necessità di trovare una soluzione al problema della tassazione dei prodotti da inalazione”. A nome dell’Intergruppo si auspica poi “un incontro immediato atto ad approfondire una tematica che riguarda sempre più consumatori ed imprenditori, che necessitano di vedere il proprio comparto salvaguardato da un sistema di imposte più efficace e trasparente dell’attuale”.
A poche ore dalla diffusione del comunicato è giunta la risposta di Michele Fino, presidente di Vapit, l’associazione a tutela dei consumatori di sigarette elettroniche. In sintesi: il vaping non ha nulla a che fare con il fumo e, di conseguenza, non può esserci alcuna tassa sui tabacchi riconducibile ad esso. “Nelle parole dei componenti dell’Intergruppo viene citata una presunta volontà dei consumatori di rimodulare l’imposizione fiscale. E sempre gli utilizzatori finali vengono accusati – in maniera neanche velata – di eludere le imposte ricorrendo alla miscelazione casalinga dei componenti, che ricordo essere in commercio nella piena legalità e con piena facoltà di acquisto ed utilizzo da parte del consumatore. L’utilizzatore di vaporizzatori personali non fuma tabacco, quindi non deve essere in alcun modo (tar)tassato per il mancato utilizzo di una sostanza che non sta appunto utilizzando, o che spesso ha faticosamente cercato di non utilizzare più. Un consumatore di acqua minerale, in base a che principio dovrebbe trovarsi chiamato all’ordine per rimediare alla propria quota di gettito derivante dal mancato consumo degli alcolici? Mi ricollego quindi alla petizione promossa recentemente da Sigmagazine, supportata da migliaia di persone e accolta dall’Intergruppo: il “vapore” non è fumo; sposato questo concetto decadrebbe automaticamente qualsiasi forma di assimilazione del “vapore” al fumo, assurda imposizione fiscale compresa. Senza alcuna ombra di incertezza – conclude Michele Fino – posso quindi affermare che dal punto di vista dei consumatori non sussista alcuna volontà di rimodulare alcuna tassa o imposta, esiste invece la volontà di tracciare una netta divisione tra fumo e “vapore”, come anche voi avete già evidenziato, eliminando di conseguenza l’assurdità di qualsiasi imposizione fiscale collegabile in qualunque modo ai tabacchi”.

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