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Fondazione Veronesi: “Le ecig non avvicinano i giovani al fumo”

In un pamphlet sui metodi per smettere di fumare, i ricercatori della Fondazione intitolata all'illustre oncologo segnalano anche la sigaretta elettronica. E ne sostengono la diffusione se utilizzata per quello per cui è stata pensata: la riduzione del rischio.

Un pamphlet di oltre cento pagine per spiegare ai fumatori come riuscire a smettere di fumare. E soprattutto quali rischi corrono se non smettono. Si intitola: “Fumo, domande e risposte per comprendere e scegliere” ed è stato redatto dai ricercatori della Fondazione Umberto Veronesi, l’ente di sanità intitolato all’illustre professore già aderente al comitato scientifico sulla sigaretta elettronica, più volte intervistato su Sigmagazine sia sugli effetti della sigaretta elettronica (“Sigaretta elettronica, strumento di lotta ai tumori“) che sull’aberrante tassazione in essere (“Una tassa che fa male alla salute“).
Un lungo capitolo del libro è dedicato alla sigaretta elettronica in forma di domanda e risposta. Questioni anche molto banali per gli addetti del settore ma che possono essere sempre di grande aiuto per tutti coloro che vorrebbero avvicinarsi all’utilizzo dell’ecig come strumento di riduzione del danno. Già, perché è proprio questa la vera funzione della sigaretta elettronica, e non bisogna mai dimenticarlo. Come i cerotti, come i chewing gum, la sigaretta elettronica è uno strumento che consente l’assunzione di nicotina in una maniera alternativa e meno tossica rispetto alle sigarette tradizionali. L’istituto britannico di sanità pubblica ha quantificato nelle ecig una dannosità del 95 per cento minore rispetto il tabacco.
Un box a parte è riservato all’utilizzo di ecig da parte dei minori. Le conclusioni dei ricercatori paiono non lasciar dubbi, tanto che hano evidenziato la notizia con un titolo apposito: “Le ecig non avvicinano i giovani al fumo“. Una posizione in netto contrasto (e polemica?) con il Ministero della Salute e l’Istituto superiore di sanità che invece sostengono esattamente il contrario. Nonostante il cosiddetto effetto gateway sia ormai stato più volte smentito, le istituzioni italiane continuano nel solco proibizionista tracciato dall’Oms. Le parole della Fondazione Veronesi tendono però ad aprire una breccia nell’opinione pubblica e, speriamo, anche in seno agli organismi internazionali di sanità pubblica.

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