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Perché lo Stato vuole mettere le mani sul vaping? Facciamo due conti…

Come si muore in Italia? Prima di tutto per malattie cardiovascolari, poi per neoplasie e quindi per malattie dell’apparato respiratorio. Dal 2005 ad oggi la forbice però si sta stringendo: l’innalzamento dell’età media sta portando a più decessi per danni alle vie respiratorie, passati dal 3,6 per cento al 7 per cento in dieci anni. Il fumo è la causa principale di tali malattie. Lo Stato spende ogni anno circa 7,5 miliardi di euro per curare pazienti affetti da queste patologie. Eppure, nonostante questo, lo Stato continua a incentivare la diffusione e la vendita dei tabacchi, sia attraverso punti vendita specializzati che presso corner in sale giochi e bar. Basterebbe ridurre il numero di sigarette per ridurre i decessi, si direbbe. Eppure non è così semplice. L’interesse di uno Stato cinico e monopolista che vive un periodo di sofferenza è cercare il cosiddetto male minore. Gli oltre 7 miliardi di euro destinati alla spesa sanitaria sono ampiamente recuperati dalle accise sui tabacchi.
Facciamo due conti. Ponendo 5 euro il prezzo medio di un pacchetto di sigarette, il guadagno per il tabaccaio è 50 centesimi di euro, il 10 per cento del prezzo di vendita. Al fornitore vanno invece 70 centesimi. Tutto il resto va allo Stato sotto forma di accisa (2,90 euro più altri 0,90 di Iva). Insomma, per ogni pacchetto di sigarette venduto da un tabaccaio italiano, ben 3,80 euro prendono il volo con destinazione Roma: il 76 per cento del costo complessivo. Vuol dire che ogni anno grazie alle sigarette le casse italiane hanno un gettito in entrata garantito di almeno 15 miliardi di euro. Esattamente il doppio di quanto speso per curare i pazienti. Ma che, allo stesso tempo sta riducendosi un po’ per il salutismo italiano, un po’ di più a causa del vaping.
E’ in questo quadro che bisogna analizzare la volontà di assoggettare anche il vaping sotto il monopolio. Se da un lato si controlla l’intera filiera, dall’altro si ha la garanzia di un introito garantito. Il bilancio dello Stato non è ancora riuscito a capire a quanto ammonta il valore erariale della filiera delle sigarette elettroniche. Gli oltre 100 milioni preventivati nel 2015 non sono mai stati incassati. Previsione sbagliata frutto di numeri e dati errati oppure evasione ed elusione di produttori e negozianti? La risposta non è data sapere, forse entrambe le ipotesi. Certo è che 100 milioni di euro non sono nulla di fronte ai miliardi incassati dal tabacco. Ma nel lungo periodo, invece, diventerebbe fondamentale avere tra le mani un settore che potenzialmente è in grado di ridurre del 95 per cento i danni da fumo. Ecco allora che quei 7 miliardi legati alle cure sanitarie potrebbero ridursi in qualche decennio a soli 375 milioni di euro. Avendo però un’impennata delle entrate dovute alla tassazione su liquidi da inalazione, aromi e sigarette elettroniche che, mantenendo il trend di lungo periodo e dando seguito alle intenzioni delle multinazionali, potrebbe arrivare ad oltre 20 miliardi di euro. Soldi che, a quel punto, sarebbero netti. E tanti.

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