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Filo diretto Anafe, Mancini: “Così lo Stato penalizza il Made in Italy”

Il presidente di Anafe-Confindustria interviene sull'annosa questione delle importazioni irregolari causata soprattutto sull'incertezza fiscale e normativa che colpisce un settore dalle enormi potenzialità ad oggi purtroppo soffocate dallo Stato.

di Massimiliano Mancini
Presidente Anafe-Confindustria

Negli ultimi due anni il settore italiano della sigaretta elettronica ha conosciuto da un lato un successo esponenziale nei confronti del grande pubblico ma, dall’altro, anche l’introduzione di nuove regole sia fiscali sia tecnico–produttive che ne hanno messo a repentaglio lo sviluppo . Questo anche perché il legislatore, sia a livello nazionale sia a livello europeo, ha rivelato un approccio ostico nei confronti di prodotti che sono – oramai alla luce di molteplici studi scientifici – meno dannosi di quelli a base di tabacco.
In particolare nel nostro Paese tale atteggiamento, la mancanza di una visione prospettica e la paura dello Stato di vedere pesantemente erose le entrate derivanti dalle accise sul tabacco, hanno generato una regolamentazione fiscale punitiva, che ha penalizzato tutti i player della filiera, in un momento in cui invece la domanda da parte dei consumatori era in aumento. Alzare la pressione fiscale quando in Europa non ci sono ancora regole certe, senza garantire alcun controllo sui prodotti introdotti irregolarmente sul territorio nazionale è il classico esempio di come non dovrebbe operare lo Stato, che a nostro avviso ha invece il ruolo di incentivare la crescita dei nuovi comparti produttivi.
Come sappiamo oggi la normativa in materia di e-cig è composta da due testi: uno in attuazione della Direttiva Europea Tabacchi che revisiona completamente il comparto dei tabacchi lavorati, l’altro, in materia fiscale, di completa ideazione nazionale.

La prima, recepita in Italia con il decreto legislativo 6/2016, ha l’obiettivo di creare un primo framework regolamentare sull’e-cig imponendo nuove norme inerenti notifica, etichettatura, pubblicità e commercializzazione di device e liquidi. Tralasciando ora l’analisi dettagliata delle singole disposizioni, ciò che lascia perplessi è il concetto di fondo che anima tali provvedimenti e cioè l’accostamento di un device elettronico che vaporizza liquidi composti da glicole propilenico, glicerolo, acqua, aromi alimentari ed, eventualmente, nicotina, all’interno di un quadro normativo dedicato ai prodotti del tabacco. Infatti, se le stringenti norme sui tabacchi sono giustificate da anni di studi che dimostrano la pericolosità delle sostanze chimiche prodotte dalla combustione di una sigaretta, per quanto riguarda le e-cig, l’invocato principio di prevenzione in mancanza di studi certi, risulta ormai superato dalle migliaia di ricerche indipendenti che sottolineano la minore rischiosità dell’e-vapor rispetto al fumo. Primo su tutti quello di Public Health England (Agenzia collegata al Ministero della Salute inglese) che evidenzia come l’e-cig sia del 95% meno dannosa rispetto al tabacco tradizionale. Pertanto, alla luce di tali circostanze, le norme che vietano in larga parte la pubblicità delle sigarette elettroniche, che impongono messaggi aggressivi nel packaging, e che sottopongono l’immissione nel mercato di nuovi prodotti ad una notifica al Ministero competente, risultano altamente penalizzanti, in quanto ostacolano pesantemente la diffusione di un prodotto meno dannoso per la salute umana. Va detto che il Legislatore italiano ha tentato di limitare la durezza delle disposizioni imposte da Bruxelles: ha recepito la direttiva senza ulteriori restrizioni e ha cercato di fornire un ulteriore strumento di controllo del mercato alle autorità competenti inserendo una norma che permettesse la disattivazione dei siti web non autorizzati, in Italia, alla vendita di e-cig e liquidi da inalazione. Al momento, però, tale disposizione non risulta essere mai stata applicata. La situazione fiscale invece, tutta italiana, è stata affidata al decreto legislativo che dal 1 gennaio 2015 ha rivisto l’intero quadro fiscale inerente tabacchi, tabacchi da inalazione e liquidi per sigarette elettroniche (d.lgs 188/2014), stabilendo un’imposta di consumo sugli e-liquids contenenti o meno nicotina pari a 0,385 (+ Iva) il millilitro. La particolarità di tale imposta, che rende il caso italiano un unicum sul palcoscenico fiscale europeo, risiede nel fatto che l’imposta di consumo sia stata determinata con un processo di equivalenza di consumo fra sigarette e sigarette elettroniche, applicando allo stesso tempo il 50% di sconto sul prezzo medio ponderato di 1 kg di tabacco. doganaAnche in questo caso il legislatore, anche quello italiano quindi, ha accostato le sigarette elettroniche alle sigarette tradizionali, giustificando tale scelta sulla base di una gestualità comune e di una presunta insistenza sullo stesso mercato di riferimento. L’applicazione dell’imposta ha comportato un aumento dei prezzi di vendita al pubblico del 100%, portando i prezzi dei prodotti italiani completamente fuori mercato a causa dei mancati controlli alle frontiere da parte delle competenti Autorità, di fatto è stata agevolata la diffusione di fenomeni di importazione irregolare: inevitabile in tali condizioni la perdita di concorrenzialità sul territorio nazionale per i produttori italiani. Da qui il paradosso della perdita di fatturato (e di gettito per le casse dello Stato) delle aziende nazionali a vantaggio di quelle straniere, nonostante l’aumento dei consumatori in tutta Europa.
La questione è irrisolta da ormai due anni. La nostra associazione ha presentato la possibile soluzione decine di volte a Governo e Parlamento: una nuova imposta parametrata al contenuto nicotinico del prodotto che sarebbe da un lato ineludibile, dall’altro di facile applicazione. La Legge di Bilancio 2017 sta per entrare in discussione. Potrebbe essere, e auspichiamo che sia, l’occasione per il Governo di permettere a questo settore di ripartire, un settore che  nonostante le vicissitudini, resta un’eccellenza in Europa e nel mondo.

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