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Sigarette elettroniche, quando l’allarmismo danneggia la ricerca

Il clima da caccia alle streghe costruito attorno la sigaretta elettronica comincia ad avere effetti dannosi anche all'interno della comunità scientifica.

L’appello di Suzie Gage, ricercatrice presso l’Università di Bristol, trova ospitalità nelle colonne dell’importante quotidiano inglese The Guardian e non potrebbe arrivare in un momento migliore. Questa settimana, infatti, la sigaretta elettronica ha nuovamente raggiunto i titoli dei giornali e, manco a dirlo, in chiave negativa. L’allarme questa volta è dovuto a due studi presentati allo European Respiratory Society Congress ancora in corso a Milano. Il primo, condotto dal dottor Constantine Vardavas dell’Università di Creta, ha preso in esame 122 liquidi di ricarica dove ha riscontrato la presenza di almeno una sostanza potenzialmente irritante per le vie respiratorie. Il secondo è uno studio svedese presentato dalla dottoressa Linnea Headman e condotto su un campione di 30mila pazienti. Di questi l’11 per cento erano fumatori, lo 0,6 vapers e l’1,2 per cento utilizzatori duali. Headman ha riscontrato che fra i dual users si riscontravano più frequentemente episodi di tosse persistente, dispnea ed espulsione di muco durante la tosse.
Sono notizie che non hanno grande presa su chi usa la sigaretta elettronica e può valutarne quotidianamente gli effetti sulla sua salute, sapendo che si tratta di uno strumento di riduzione del rischio. E, soprattutto, ha sperimentato in prima persona la differenza con il fumo. Ma non si può dire lo stesso per il pubblico dei non-vapers e dei fumatori, che si trova preso fra due fuochi e non sa come orientarsi. “La sigaretta elettronica – scrive infatti Gage – ha davvero diviso la comunità scientifica, schierando su fronti opposti ricercatori che condividono l’obiettivo di ridurre il fumo e i danni ad esso correlati”. Questa spaccatura nel mondo scientifico si riverbera nei media restituendo, continua Gage, “un quadro poco chiaro di quello che sappiamo (e non sappiamo) sulla sigaretta elettronica, facendo sentire i vapers perseguitati e facendo erroneamente credere ai fumatori che non ha senso passare all’ecig, che potrebbe essere dannosa come il fumo”. Un errore secondo la ricercatrice, visto che “Public Health England ha concluso che le sigarette elettroniche sono del 95 per cento più sicure del fumo e questo dovrebbe bastare per sedare le paure che le circondano”.
Ma questo clima confuso e a tratti isterico ha anche altre conseguenze, come quella di rendere più difficile la ricerca necessaria a chiarire gli effetti a lungo termine dell’uso della sigaretta elettronica. È quello che Gage sta sperimentando in prima persona per il progetto di ricerca finanziato da Cancer Research UK a cui partecipa. Si tratta di analizzare campioni di saliva per identificare la metilazione del Dna, un marker biologico che determina l’espressione dei geni. In parole povere, si tratta di una modifica genetica del Dna. “È dimostrato – scrive Gage – che i fumatori hanno un profilo diverso dai non fumatori ed è possibile che questi cambiamenti nella metilazione siano legati a un aumento del rischio causato dal fumo”. I ricercatori vorrebbero comparare i profili dei fumatori e dei non fumatori con quelli dei vaper per avere un’idea dell’impatto a lungo termine. E qui iniziano le difficoltà.
La prima è costituita dal fatto che fumatori ed ex fumatori hanno un preciso profilo di metilazione, dunque i ricercatori hanno bisogno di vapers che non hanno mai fumato prima e – come dimostrato da recenti ricerche – è molto raro che chi non fumava diventi un utilizzatore regolare di sigaretta elettronica. Ma soprattutto, spiega Gage, c’è resistenza da parte dei vapers convinti che, qualsiasi saranno i risultati della ricerca, questa sarà usata per dare un’immagine negativa del vaping e dei vapers da persone che hanno un preciso obiettivo. “E dopo averci parlato – chiosa la ricercatrice – trovo difficile dar loro torto. La disinformazione e l’allarmismo sul vaping sono arrivati al punto che gli utilizzatori di sigaretta elettronica si tirano fuori dalla ricerca”. Con un danno facilmente immaginabile per la collettività.
Cosa si può fare? Aspettare che ulteriori studi chiariscano l’efficacia dell’ecig come strumento per smettere di fumare, riappacificando i due fronti contrapposti, come suggerisce Suzi Gage? Può darsi, ma ci vorrà del tempo. Nel frattempo una cosa dovrebbe essere chiara a tutti, media e comunità scientifica in primis: il clima da caccia alle streghe non fa bene a nessuno.

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