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Fabio Beatrice: “Il successo è passare alla sigaretta elettronica”

Rispetto al fumo l’ecig riduce la tossicità del 95 per cento, azzera il monossido di carbonio e taglia drasticamente le sostanze cancerogene. Sono dati che chi si confronta quotidianamente con i malati non può ignorare. È arrivato il momento di affrontare il tema della riduzione del rischio, abbandonando posizioni ascetiche e intransigenti.

(tratto da Sigmagazine bimestrale #5 – novembre-dicembre 2017)

Il vero interesse della sigaretta elettronica non è la sua potenzialità nella cessazione, quanto la sua potenzialità nella sostituzione”. Il professore Fabio Beatrice non ha dubbi, la vera forza dell’ecigarette sta nella sua capacità di continuare a soddisfare il fumatore, separando l’assunzione della nicotina dai prodotti della combustione del tabacco. In breve, nel suo essere uno strumento di riduzione del rischio. Una strategia per ora non contemplata dalle nostre istituzioni sanitarie nella lotta al tabagismo. Eppure Beatrice non è un outsider nella società scientifica. Otorinolaringoiatra, “non medico a tavolino, ma medico che visita, opera e cura” come ama definirsi, è stato presidente della Società italiana di tabaccologia ed è responsabile del Centro antifumo dell’ospedale San Giovanni Bosco di Torino. E all’ecig ha dedicato studi e persino un libro, La verità sulla sigaretta elettronica.
Nel panorama medico-scientifico lei è stato fra i primi a riconoscere le potenzialità della sigaretta elettronica per la salute dei fumatori. Cosa l’ha convinta?
Sono partito da un interesse per la sigaretta elettronica quale strumento di aiuto alla cessazione. In quest’ottica il Centro antifumo di Torino che dirigo e l’Istituto superiore di sanità organizzarono una sperimentazione, poi pubblicata nel 2015, per verificare se questo strumento poteva essere inserito in un percorso medicale di supporto al fumatore. L’approccio commerciale puro non serviva ad aiutare i fumatori nel passaggio. La nostra sperimentazione ha dimostrato che invece un approccio medicale a otto mesi produceva uno switch stabile a elettronica del 53% dei fumatori, un comportamento duale con forte diminuzione del fumato reale nel 37%, mentre un 10% falliva completamente. Abbiamo misurato la tossicità e abbiamo visto il monossido di carbonio si azzerava che nei fumatori che facevano switch completo, si riduceva in maniera statisticamente significativa nei fumatori duali, mentre il consumo di nicotina rimaneva più o meno lo stesso. Poi non abbiamo avuto risorse per proseguire lo studio osservazionale a più di otto mesi. All’epoca però ci ponevamo il problema dell’utilizzo della ecig solo come strumento di aiuto alla cessazione.
E oggi?
L’approccio di puntare esclusivamente alla cessazione è culturalmente sbagliato. Il vero interesse della sigaretta elettronica è semplicemente nello switch, nel passaggio dalla sigaretta tradizionale all’elettronica. Lo switch azzera il monossido di carbonio, lascia la nicotina, riduce in maniera molto significativa i prodotti irritativi e abbatte drammaticamente i cancerogeni di classe A che da ottantatré diventano due o tre.
In cosa le sigarette elettroniche sono meno dannose?
La sigaretta elettronica azzera in maniera quasi completa i prodotti della combustione. Poi ci sono delle differenze a seconda della potenza utilizzata per svapare, ma di fatto vale la posizione del ministero della Gran Bretagna che fa di tutta l’erba un fascio e sostiene che l’ecig detossica del 95% rispetto al fumo. Uno strumento così per me è un successo. Il problema è che permane una forma di bigottismo nell’accettare che gli utilizzatori continuino in un certo senso a fumare, pur facendosi meno male.
La nicotina non è un problema?
La nicotina alza di 10 unità di mercurio la pressione, aumenta la produzione di acido cloridrico dello stomaco, ma non fa il danno vascolare. Ictus e infarto sono causati dalla trombosi prodotta dai derivati cancerogeni del catrame che alterano, attraverso una serie di meccanismi biochimici, l’endotelio della parete. Gli artefici del danno sono i derivati del catrame, il monossido di carbonio e gli irritanti: il prodotto della combustione. La nicotina però è quella che dà il piacere e cronicizza il consumo, perché induce dipendenza. Insomma, per assumere la nicotina il fumatore è costretto ad assumere anche sostanze che lo ammazzano. Ma la nicotina è anche il farmaco per smettere di fumare più utilizzato al mondo, solo che somministrata per cerotto o per inalatore non funziona come preso da elettronica.
Per quale motivo?
Nel nostro studio abbiamo osservato che il fumatore che passa all’elettronica prende esattamente la nicotina che gli serve. In pratica si fa una automedicazione di nicotina. Utilizzare, invece, una specifica modalità di rilascio farmacologico di nicotina, non risponde alle vere necessità del paziente. In realtà nella sperimentazione abbiamo rilevato anche una tendenza a diminuire la nicotina nel tempo, ma purtroppo non siamo riusciti a studiarla, perché ci sono venuti meno i finanziamenti.
Perché nonostante tutto questo le istituzioni sanitarie italiane sono state e sono così prudenti verso l’ecig?
Analizzando gli studi pubblicati, ci si accorge che la maggior parte sono lavori di tossicologia, farmacologia ed epidemiologia focalizzati sulla tossicità della sigaretta elettronica, e spesso si trattava di ricerche che, se fossero state esaminate da una commissione che conosceva l’argomento, sarebbero state cassate per il metodo scientifico. Poi c’è una minoranza di lavori che paragona il dato dell’elettronica con quello della sigaretta normale e sono concordi nel dire che è nettamente meno tossica. Questi studi in realtà portano acqua al tema della riduzione del rischio, ma nella ricerca scientifica manca un approccio clinico all’elettronica. L’unico che ha subito capito le potenzialità della sigaretta elettronica è stato Umberto Veronesi, che sapeva che la cessazione non è un obiettivo ricevibile per i fumatori. E se un paziente rifiuta, per esempio, un intervento o un tipo di terapia, un medico deve cercare vie alternative.
Questo vale anche per i fumatori?
Anche con il fumatore un medico deve affrontare il tema della ricevibilità della proposta. Oggi abbiamo uno strumento che permette una detossicazione del 95 per cento, quindi se spostiamo il consumo verso l’elettronica possiamo attenderci un miglioramento. Invece il principio di precauzione medica, che è sacrosanto e ispira gli organi governativi a tutela del consumatore, è talmente tirato da produrre uno stallo per cui la gente continua a morire. E alla fine questo principio va in danno della parte debole e un medico non può non stare dalla parte del debole, del malato. Io che non sono un medico a tavolino, ma sono un medico che visita, che opera e che cura, mi metto dalla parte del fumatore e cerco di essere ricevibile.
Sembra quasi che la classe dei medici e dei ricercatori fatichi ad accettare uno strumento che viene dal mercato e che di fatto toglie il fumatore dal suo controllo.
È una posizione dissociata da quello che accade. In Italia solo lo 0,1 per cento degli 11 milioni di fumatori si rivolge ai centri antifumo. Di questa minima percentuale, secondo miei dati controllati da un audit esterno, il 43per cento registra la cessazione a tre anni. Con questi risultati non si incide sulle cifre della mortalità. Un altro problema è che la maggior parte dei 376 centri antifumo sono in mano ai Sert (i servizi di tossicodipendenza delle Asl ndr). Non vi operano clinici, ma psicologi e psichiatri consapevoli del danno della sigaretta, ma che si occupano solo della dipendenza. Ma il fumo non è solo dipendenza, il danno non lo fa la sostanza che crea dipendenza, ma il catrame e gli 83 cancerogeni di classe A. Però per loro il demonio è la sostanza che dà dipendenza, cioè la nicotina. Per questo in molte pubblicazioni contro il fumo si sostiene che la sigaretta elettronica arruola al fumo o mantiene la dipendenza.
Ma l’elettronica è davvero la porta d’ingresso del fumo?
Qui bisogna essere molto concreti. Secondo gli ultimi dati dell’Istituto superiore di sanità l’80 per cento degli 11 milioni di fumatori ha cominciato a fumare prima dei 18 anni. Quindi ora, oggi quasi 9 milioni di minorenni sono arruolati al fumo. Di fronte a questi numeri il problema se la sigaretta elettronica sia o no porta d’ingresso al fumo di tabacco mi sembra di poco conto. Bisogna stare con i piedi per terra, altrimenti per il principio della massima precauzione non si fa niente e i fumatori continuano a morire. È un ragionamento che non può fare un medico. Un medico non può arrivare alla paralisi in ossequio del principio della massima precauzione.
Eppure il Ministero della salute ha recentemente ribadito che la riduzione del rischio non è una sua strategia.
La strategia del Ministero è la cessazione ed è corretto che esso e l’Iss si esprimano in questo modo, perché partono dal presupposto di garantire al cittadino chiarezza totale su quello che è l’obiettivo vero teorico, cioè fumo zero nel 2050. Ma fra la situazione reale e quell’obiettivo teorico ci sono una serie di tappe intermedie, che possono portare o meno al raggiungimento dell’obiettivo. Da anni siamo in una situazione di stallo ed è il momento di riconoscere che questa strategia dell’offerta di cessazione non funziona. Poi ricordo che 35 società scientifiche italiane – ed anche io – hanno sottoscritto il Manifesto dell’Endgame in cui è prevista la risk reduction. Però non se ne parla e vi è una grossa incultura sul tema della riduzione del danno. Di fatto le istituzioni mantengono una posizione ascetica che crea una frattura fra medici e fumatori, perché propone ai medici di dare degli obiettivi che i fumatori non sentono loro e non percorrono. Così il fumatore scappa dal medico.
E la politica come si pone su questo tema?
Se siamo indietro noi tecnici, ovviamente è indietro anche la politica. Alla politica può interessare che c’è in ballo la salute di 11 milioni e mezzo di elettori, che se arrivano a capire che non li si sta aiutando ma li si tassa e basta potrebbero arrabbiarsi. Se si fa un’azione a tutela di queste persone, si spiega e si rende ricevibile da un punto di vista politico potrebbe essere vantaggioso.
Se domani diventasse Ministro della salute cosa farebbe per la lotta al fumo?
Innanzi tutto terrei fermo che il principio di salute fondamentale è la cessazione. Quindi metterei mano all’organizzazione dei centri antifumo, dando loro obiettivi misurabili sulla lotta al tabagismo. Adotterei una strategia di politica friendly, spingendoli ad essere proattivi. Poi includerei i farmaci nei Lea, cioè nelle prestazioni fornite dal servizio sanitario. Obbligherei i centri antifumo a misurare la disponibilità al cambiamento dei fumatori e, in caso di non ricevibilità dell’obiettivo di cessazione, a fare delle proposizioni che seguano strategie di risk reduction. Che possono essere riduzione del fumato reale oppure switch a sigarette elettroniche con delle procedure che siano scientificamente validate.
Comunque non si prescinde dai centri antifumo?
Userei quello zoccolo duro. Accanto alla strategia clinica, che rende credibili, sarei realistico e quindi metterei in essere una serie di incentivazioni economiche dei prodotti a rischio ridotto rispetto al fumo tradizionale. Modello Gran Bretagna tutta la vita.

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