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Asia, il dibattito sulla sigaretta elettronica divide gli Stati

Tailandia, Filippine e India contrastano la diffusione dello strumento di riduzione del danno ma l'opinione pubblica chiede un passo indietro.

Con il Bihar sono sei gli Stati indiani che proibiscono la sigaretta elettronica. Dopo il Jammu e Kashmir, il Karnataka, il Punjab, il Maharashtra e il Kerala, infatti, anche il popoloso Stato al confine con il Nepal mette fuorilegge il vaping. Le autorità del Bihar, riporta in quotidiano Times of India, vietano “la produzione, la distribuzione, la vendita, l’acquisto, l’esposizione e la pubblicità dei sistemi di somministrazione di nicotina”. Dunque il Bihar si spinge un passo più avanti rispetto agli altri Stati, perché è il primo a sanzionare non solo la vendita, ma anche l’acquisto delle sigarette elettroniche e non è una cosa da poco. A quanto pare, una buona parte dell’India è decisa a seguire le indicazioni dell’advisor per il Sud est asiatico dell’Organizzazione mondiale della Sanità Jagdish Kaur, che lo scorso settembre, dalle colonne dell’Indian Journal of Public Health, invitava i Paesi dell’area a seguire l’esempio della Corea del Nord in materia di vaping. Cioè a proibirlo del tutto. Intanto in India il fumo rimane un’emergenza con oltre 100 milioni di fumatori. Ma pazienza, l’importante è che nessuno pensi di smettere, utilizzando l’ecig.
In altre zone del continente asiatico, però, si cerca di aprire il dibattito sul senso di vietare uno strumento di riduzione del danno. Nelle Filippine del presidente Duterte – un altro che non va per il sottile nelle sue battaglie – l’associazione che sostiene lo svapo, The Vapers Philippines, non si dà per vinta e chiede al Collegio degli pneumologi del Paese di esaminare attentamente la posizione favorevole della British Medical Association sulla sigaretta elettronica. “Il Collegio dei medici pneumologi delle Filippine – ha dichiarato il presidente di The Vapers Philippines Tom Pinlac al quotidiano Manila Standard – può avere una enorme influenza per far adottare strumenti di riduzione del danno che potrebbero salvare milioni di vite nel Paese”.
Si cerca di aprire il dibattito anche in Tailandia, dove utilizzare una sigaretta elettronica è illegale esattamente come il possesso e l’uso dell’eroina. Nel Paese vige infatti il divieto totale di produzione, importazione, vendita e possesso di qualsiasi cosa riguardi il vaping: l’importazione illegale è punita con dieci anni di carcere e la vendita su strada con cinque. Come scrive in un editoriale il quotidiano Bangkok Post, è un tema sul quale “le autorità hanno eliminato il dibattito prima ancora che potesse iniziare”. Ma dopo che lo scorso dicembre una donna è finita in carcere per il possesso di materiale legato al vaping – quello che la testata definisce “un crimine senza vittime” – si iniziano ad alzare voci critiche sulle posizioni del governo. “Gli studi più recenti – si legge nell’editoriale – sono concordi nel sostenere che il vaping è la seconda migliore scelta contro il fumo, dopo la cessazione totale. La difesa del divieto è diventata ridicola”. E poi l’articolo, che forse non a caso non è firmato, conclude: “La parte peggiore del divieto è che il governo rifiuta di accettare la scienza. È stata addirittura addotta una tesi erronea, secondo la quale le sigarette elettroniche sarebbero più dannose dei prodotti del tabacco, prodotti e venduti dal monopolio del governo”. Insomma, il sospetto è che le autorità non siano disposte a rinunciare agli introiti garantiti dalla vendita delle sigarette. E purtroppo non è un sospetto che si limita ai Paesi asiatici.

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