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Un nuovo allarme sta rimbalzando sui media di tutto il globo: la sigaretta elettronica, si legge, causerebbe alterazioni nel Dna nei tessuti dei polmoni, del cuore e della vescica. Il condizionale lo abbiamo aggiunto noi, perché purtroppo l’ansia da condivisione ha spesso fatto dimenticare anche a testate blasonate che, almeno quando si parla di salute, bisognerebbe applicare un minimo di precauzione nella formulazione dei titoli. Ma tant’è. L’allarme nasce da uno studio condotto da una équipe di ricerca del Dipartimento di medicina ambientale della Scuola di medicina della New York University e pubblicato sulla rivista Proceeding of the National Academy of Science of the United States of America.
In breve i ricercatori di New York hanno osservato gli effetti della vaporizzazione di nicotina e di un suo metabolita (la nitrosammina NNK) su topi e su colture di tessuto umano. E hanno concluso che l’esposizione all’aerosol di nicotina può ridurre la capacità del Dna di ripararsi e causare insorgenze tumorali. Dunque le conclusioni riguardano la vaporizzazione di liquidi contenenti nicotina e non “la sigaretta elettronica” tout court. Diciamo questo non per minimizzare, ma per mettere la questione nella giusta prospettiva. E ricordiamo anche che uno studio pubblicato proprio la scorsa settimana dalla National Academy of Science, Engineering and Medicine e commissionato dalla FDA, annoverava fra le sue “conclusioni definitive” che “sostituire completamente il tabacco combusto con la sigaretta elettronica riduce l’esposizione dell’utilizzatore a numerose sostanze tossiche e cancerogene presenti nelle sigarette di tabacco convenzionali”.
Non sono comunque mancate le reazioni critiche allo studio della New York University. Il professor Riccardo Polosa, fondatore della Lega Italiana Anti-fumo e grande esperto di vaping, contesta il metodo utilizzato nella ricerca. “Le condizioni riprodotte in questi esperimenti sono esasperate e favoriscono la produzione di sostanze tossiche alla stessa stregua di un ‘tostapane’ che viene settato per bruciare il pancarrè”, ha spiegato a Rai News, tornando sull’esempio utilizzato nel suo intervento al Parlamento inglese . “I nostri studi su pazienti affetti da malattie polmonari – ha continuato – non solo dimostrano una assenza di danno ma evidenziano gli stessi miglioramenti che possono ottenersi smettendo di fumare”.
Anche il professor Fabio Beatrice, otorinolaringoiatra e direttore del Centro antifumo San Giovanni Bosco di Torino, torna su concetti già espressi anche sul nostro giornale. “La produzione di cancerogeni nel vapore di sigaretta elettronica è stata ampiamente studiata. – ha spiegato sempre a Rai News – E quando questa grandezza viene correttamente analizzata, lo si fa mettendola a paragone con la produzione di cancerogeni delle sigarette tradizionali. In questo modo, le evidenze scientifiche hanno dimostrato che le sigarette elettroniche producono sostanze nocive in misura di almeno il 95% inferiore rispetto al normale fumo da combustione dei prodotti del tabacco tradizionale”. Dunque è su questo che, secondo Beatrice, bisogna porre l’accento. Sul fatto che esiste uno strumento ben accettato dai fumatori che consente di ridurre drasticamente i danni del fumo, perché la vera emergenza sono gli 80mila morti all’anno in Italia dovuti al fumo.
Parole che, in qualche modo, trovano eco anche nelle dichiarazioni al quotidiano La Stampa di Roberta Pacifici, direttore del Centro dipendenze e doping dell’Istituto superiore di sanità. Dopo aver sottolineato la necessità di ulteriori studi a lungo termine sugli effetti del vapore sul DNA e su quelli dell’inalazione di aromi alimentari, Pacifici richiama il già citato studio della National Academy of Science, Engineering and Medicine. “Ci sono evidenze conclusive – dichiara – che sostituendo del tutto le sigarette tradizionali si riduce l’esposizione del consumatore a molte sostanze cancerogene presenti nel fumo”.
Questo è lo studio integrale pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America.