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Sigarette elettroniche, quer pasticciaccio brutto de via Venti Settembre

Torna d'attualità il "conoscere per deliberare" di Luigi Einaudi. E ancora una volta occorre applicarlo alla normativa e alla fiscalità applicata alla sigaretta elettronica. Tanti, troppi gli errori, ancor più inaccettabili se commessi dal legislatore.

I trenta giorni per chiedere l’autorizzazione alla vendita di prodotti liquidi da inalazione stanno per scadere. I rivenditori che vorranno continuare l’attività specializzata in vaping hanno tempo sino a domenica 22 per inoltrare la domanda all’ufficio Aams competente per territorio. Chi non lo facesse potrà chiedere autorizzazione in un secondo momento ma dovrà interrompere la vendita dei liquidi sino all’ottenimento.
Sin qui tutto semplice, parrebbe. Ma in Italia anche le questioni più lineari possono assumere risvolti contorti. Sin da novembre dell’anno scorso, quando con un’azione repentina e spregiudicata il Ministero delle Finanze volle mettere le mani sul settore del vaping, la situazione è diventata quantomeno grottesca, con sfumature tavolta assurde. Le norme e le disposizioni si sono accavallate, emendamenti e controemendamenti, sottolineature e cancellature, hanno imposto una legge quadro del vaping che sin da subito è apparsa a dir poco confusa.
Sono comparsi divieti di vendita online senza che fossero previste le sanzioni, sono state create regole ad hoc per i rivenditori che però non valgono per i tabaccai, i liquidi sono sottoposti ad un’esorbitante imposta di consumo quando facilmente possono essere replicati, a costo infinitesimale, acquistando gli ingredienti in reti vendita alternative.
La confusione sulla prevalenza legittima è soltanto l’ultima diatriba delle tante che si sono succedute e che potranno avere risposta soltanto attraverso la sentenza di un giudice. Un negozio specializzato in sigarette elettroniche che vende accessori per il vaping che non sono liquidi per sigarette elettroniche e che non sono parti di ricambio dell’hardware, deve inserirli nel computo per la prevalenza o no? Il buonsenso direbbe di sì, la rigida burocrazia sosterrebbe di no.
E questa divisione sta anche contrapponendo le associazioni di categoria. Alcune sono caute e rispettano alla lettera il mandato Aams, altre ideologicamente più aggressive comunicano l’assoluta prevalenza dei prodotti venduti. Due posizioni legittime, due visioni diverse ma che portano alla medesima considerazione: sia il decreto direttoriale che le norme inseirite in legge di bilancio contengono storture normative, dovute alla scarsa conoscenza del settore.
Questo presuppone una nuova ondata di ricorsi – dal Tar alla Corte europea – di attese giudiziarie, di spese aziendali e di incertezza commerciale. Il buon senso dovrebbe portare il nuovo governo a resettare l’intero apparato normativo e fiscale sul vaping, per riaffrontarlo in maniera consapevole. È difficile forse mettere insieme le esigenze dei diversi interlocutori interni alla filiera, poiché a tratti non coincidono. Un sano confronto dialettico potrebbe però portare ad una sintesi che, messa sul piatto della bilancia, potrebbe accontentare più o meno tutti. Se a vincere è solo una parte, in realtà perde l’intero settore.
E, in ogni caso, il vero sconfitto è il consumatore, colui che nella sigaretta elettronica vede uno strumento di riduzione del danno, qualcosa che lo allontana da una dipendenza mortifera per avvicinarlo ad una nuova concezione di voluttà fatta di vapore.

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