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Divieti e restrizioni sulla sigaretta elettronica non combattono il fumo

La Nuova Zelanda è sempre più sulla scia del Regno Unito, almeno per quanto riguarda la sigaretta elettronica.

La Nuova Zelanda è sempre più sulla scia del Regno Unito, almeno per quanto riguarda la sigaretta elettronica. Tutto iniziò lo scorso anno con le dichiarazioni di Nicky Wagner, ministro della Salute associato, che durante una conferenza stampa invitò simpaticamente i giornalisti fumatori presenti “a dare una chance al vaping”. E sottolineava anche come le ecig dovessero godere di leggi diverse da quelle del tabacco e costare meno, in modo da incentivare i fumatori a passare all’elettronica. Ed è stata la stessa Wagner a presentare lo scorso aprile, una proposta di legge per la legalizzazione della vendita di liquidi contenenti nicotina, fino ad ora solo tollerata. Le sigarette elettroniche – commentava Wagner a margine della presentazione della proposta di legge – offrono un’alternativa migliore a quelle convenzionali per i fumatori abituali e sono significativamente meno dannose del tabacco. Inoltre non pongono rischi di vapore passivo”.
Lo scorso ottobre anche il Ministero della salute neozelandese fece un passo importante, pubblicando sul suo sito un documento che dichiarava che la sigaretta elettronica sarebbe stata inclusa nella strategia sanitaria per raggiungere l’obiettivo Smokefree 2025, cioè toccare la soglia del 5 per cento di fumatori entro diciassette anni . Dunque per combattere il fumo, la Nuova Zelanda abbraccia in toto la strada della riduzione del danno. Ed è da leggere in quest’ottica anche la decisione del Governo di non fare appello contro la decisione del tribunale di Wellington, in un caso che vedeva contrapposti il Ministero della salute e Philip Morris con le sue ricariche per riscaldatori di tabacco. I giudici hanno deciso che al prodotto non si può applicare il divieto per il tabacco da masticare o per uso orale previsto dallo Smoke-free Environment Act, dunque potrà essere commercializzato come le sigarette tradizionali. E, invece di fare appello, il Ministero ha fatto sapere che si sta adoperando per regolamentare i prodotti del vaping e quelli a tabacco riscaldato.
Ma il dibattito non va avanti solo in Parlamento o nei tribunali. Lo dimostra la grande produzione scientifica, di cui abbiamo dato conto su questo giornale, che negli ultimi mesi proviene dalla Nuova Zelanda. Il più recente contributo arriva dal think tank New Zealand Initiative, che ha pubblicato un report di settanta pagine a cura della ricercatrice Jeresa Jeram, intitolato “Smoke and Vapour, the changing world of tobacco harm reduction”. Le posizioni di Jeram sono chiare da subito, quando scrive che “il meglio (l’eliminazione del danno) è nemico del bene (la riduzione del danno)” e infatti l’autrice punta il dito contro le politiche sul tabacco “che tradizionalmente non hanno mai preso in considerazione le necessità dei fumatori”. Un approccio, argomenta l’autrice, che non permetterà di raggiungere l’obiettivo Smoke-free entro il 2025. La sigaretta elettronica rappresenta, invece, un metodo per smettere di fumare “molto più accettato dai consumatori rispetto agli altri strumenti, che rende la cessazione un processo da godere e non da sopportare”.
Jeram ritiene fondamentale rendere facile l’accesso ai prodotti del vaping, mettendo in guardia dall’applicare regolamentazioni ricalcate da quelle sul tabacco o dal normarlo in maniera eccessiva. Particolarmente controproducenti, secondo l’autrice, sarebbero misure che limitano i gusti dei liquidi di ricarica, la pubblicità, il packaging o i luoghi in cui i prodotti possono essere venduti, così come applicare tasse simili a quelle per i prodotti del tabacco o confinare i vaper nelle aree fumatori e – in generale – rendere difficoltoso al consumatore l’accesso ai prodotti del vaping. Insomma, tutte quelle politiche che stiamo vedendo scatenarsi da questa parte del globo.
I rivenditori – conclude l’autrice del report – devono avere la certezza che non saranno perseguiti per aver partecipato a attività illegale e i consumatori devono avere la sicurezza di non fare qualcosa di indesiderabile. In una società in cui il fumo è stato socialmente marginalizzato, grazie a rigorose campagne per la salute pubblica, il vaping dovrebbe essere incentivato per renderlo più attraente”.

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