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Proibizionismo di Stato anche sulla cannabis light: “No alla vendita”

Il Consiglio superiore di sanità, dopo richiesta del Ministero della Salute, dice no alla vendita di cannabis light per un "principio di precauzione e di tutela di consumatori inconsapevoli".

Anche la cannabis light rischia di vedersi ben presto assoggettata al Monopolio di Stato, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, ritirata dal mercato e resa fuorilegge. In risposta ad un quesito posto dal Ministero della Salute, il Consiglio Superiore di Sanità – organo tecnico consultivo del Ministero della Salute – ha detto no alla vendita di cannabis light per un “principio di precauzione e di tutela di consumatori inconsapevoli“. La parola definitiva torna al Ministero, anche se è in attesa di un ulteriore giudizio da parte dell’avvocatura dello Stato. Le premesse però perché lo Stato rimetta le mani su questo mercato in piena espansione purtroppo ci sono tutte. Sembra di rivivere quanto già sperimentato sul fronte della sigaretta elettronica.
Il Css, in particolare, auspica “che siano attivate, nell’interesse della salute individuale e pubblica e in applicazione del principio di precauzione, misure atte a non consentire la libera vendita dei suddetti prodotti“. Un parere che avrà effetti su un mercato in pieno boom, visto che la cannabis light ha fatto aprire centinaia di punti vendita in tutta Italia e sta anche fornendo un prodotto complementare per molti negozi di sigarette elettroniche.
Come già accadde per i liquidi da inalazione, viene paventata una scarsa conoscenza sulla “pericolosità dei prodotti” in relazione al fatto che “contengono o sono contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di ‘cannabis’ o cannabis light o cannabis leggera. La biodisponibilità di Thc anche a basse concentrazioni non è trascurabile, sulla base dei dati di letteratura; per le caratteristiche farmacocinetiche e chimico-fisiche, Thc e altri principi attivi inalati o assunti con le infiorescenze di cannabis sativa possono penetrare e accumularsi in alcuni tessuti, tra cui cervello e grasso, ben oltre le concentrazioni plasmatiche misurabili; tale consumo avviene al di fuori di ogni possibilità di monitoraggio e controllo della quantità effettivamente assunta e quindi degli effetti psicotropi che questa possa produrre, sia a breve che a lungo termine“. Un accenno anche alla mancanza di evidenze scientifiche particolareggiate: “Non appare che sia stato valutato il rischio al consumo di tali prodotti in relazione a specifiche condizioni, quali ad esempio età, presenza di patologie concomitanti, stati di gravidanza/allattamento, interazioni con farmaci, effetti sullo stato di attenzione, così da evitare che l’assunzione inconsapevolmente percepita come ‘sicura’ e ‘priva di effetti collaterali’ si traduca in un danno per se stessi o per altri (feto, neonato, guida in stato di alterazione)“. La conclusione del Consiglio superiorità di sanità: “Tra le finalità della coltivazione della canapa industriale non è inclusa la produzione delle infiorescenze né la libera vendita al pubblico; pertanto la vendita dei prodotti contenenti o costituiti da infiorescenze di canapa, in cui viene indicata in etichetta la presenza di cannabis o cannabis light o cannabis leggera, in forza del parere espresso sulla loro pericolosità, qualunque ne sia il contenuto di Thc, pone certamente motivo di preoccupazione“.
L’ombra della gestione monopolistica o farmaceutica si fa sempre più inquietante.
Eloquente la rapida reazione degli antiproibizionisti. Rita Bernardini (in foto, durante il convegno sulla cannabis light ospitato al Vapitaly): “Sempre più proibizionismo, sempre più mafia. Disobbedisco, disobbediamo!”.

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