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Hong Kong, la Regione amministrativa speciale della Repubblica Popolare Cinese, si allinea sempre di più alle politiche del Continente asiatico, dove si cerca di combattere gli altissimi tassi di fumatori con il proibizionismo tout-court. E, a guardare i dati, con scarsi risultati. Lo scorso giugno, il Dipartimento scienze e statistiche dell’ex colonia britannica pubblicava un documento, poi approvato dal Parlamento, in cui si raccomandava di applicare alla sigaretta elettronica la stessa normativa prevista per i prodotti del tabacco. Dunque divieto di vendita ai minori, divieto di promozione e pubblicità, introduzione degli avvisi di pericolo sul packaging e divieto di utilizzo nei luoghi in cui è proibito fumare.
Ma tutto questo non deve essere sembrato abbastanza alla leader dell’esecutivo Carrie Lam che oggi – nel suo secondo discorso politico del 2018 (una relazione in cui si indicano i programmi e le politiche del governo) – ha proposto di vietare completamente la vendita delle sigarette elettroniche. Le motivazioni sono quelle utilizzate da molti leader asiatici: la protezione della salute, soprattutto dei minori, il timore che l’ecig rinormalizzi il fumo e induca i giovanissimi al tabagismo. In breve, l’effetto gateway.
Insomma, Hong Kong e la Gran Bretagna non potrebbero essere più lontane. Così lontane che nella ex colonia non deve essere giunta eco delle decisioni della sanità pubblica inglese, che sponsorizza la sigaretta elettronica come metodo di fumare, giudicandola del 95 per cento meno dannosa del fumo.