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Resoconto e retroscena della Giornata mondiale senza tabacco

Tema della XXI edizione, le malattie polmonari fumo-correlate. Nel pomeriggio a tenere banco sono state le nuove metodologie di somministrazione della nicotina: sigarette elettroniche e riscaldatori di tabacco.

Si è celebrata oggi a Roma la Giornata Mondiale senza Tabacco e, come da tradizione, all’Istituto superiore di sanità si è tenuto il principale convegno di approfondimento sul fumo. Tema di questa XXI edizione, le malattie polmonari fumo-correlate. Nel pomeriggio a tenere banco sono state le nuove metodologie di somministrazione della nicotina: sigarette elettroniche e riscaldatori di tabacco.
Studi scientifici indipendenti, divieti più stringenti, maggiori controlli: sono le priorità che per il Ministero della salute dovrebbero guidare il dibattito e le politiche antitabagiche pubbliche. “Il numero dei fumatori – ha puntualizzato Roberta Pacifici – è lo stesso del 2008: gli ultimi dati dicono che 12 milioni di italiani continuano a fumare. Sono invece 900 mila gli utilizzatori di sigarette elettroniche e 600 mila quelli di riscaldatori di tabacco. Il nostro auspicio è che già dal prossimo anno la Giornata mondiale senza tabacco potrà trasformarsi in Giornata mondiale senza nicotina”. Se da un lato è stata segnalata una apertura nei confronti della sigaretta elettronica – ma soltanto se utilizzata senza l’abbinamento duale con il tabacco e preferibilmente in un contesto clinico – dall’altro non sono stati evidenziati passi in avanti sul fronte dei riscaldatori: strumenti che contengono tabacco e che assomigliano molto di più ad una sigaretta tradizionale.
Ad accendere la discussione, sino ad allora appiattita sulle posizioni ministeriali, ci ha pensato il professor Fabio Beatrice che, non tanto velatamente, ha sostenuto innanzi ai presenti la necessità di avere maggiori studi scientifici sulla sigaretta elettronica “a prescindere dal committente. Se una ricerca è verificata e ripetibile non deve esserci alcun pregiudizio su chi l’ha finanziata. L’unico dibattito che si dovrebbe aprire è quello sulla valenza scientifica dati”. Nonostante alcuni sorrisini e battutine poco felici di alcuni alti funzionari del Ministero della Salute, il professor Fabio Beatrice ha costantemente ribadito la necessità di intervenire sui fumatori, anche passando per la strada della sigaretta elettronica: “Se un paziente non vuole o non riesce smettere di fumare, piuttosto che abbandonarlo, preferisco accompagnarlo verso la cessazione utilizzando la sigaretta elettronica. Io procedo abbattendo il rischio, nella speranza che nel prossimo futuro si possa anche dimostrare la riduzione del danno”. Ma il Ministero della salute pare non sentire da quell’orecchio, l’obiettivo è arrivare all’assenza assoluta di tutte le dipendenze. La sigaretta elettronica, in quanto dispensatrice di nicotina, è da considerarsi alla stregua delle sigarette tradizionali. “Neppure il confronto con il Regno Unito regge. – ha spiegato il dottor Giuseppe Gorini – In Italia scelgono la sigaretta elettronica le persone con basso reddito; nel Regno Unito invece viene scelta dalla classe media. E questo perché, mentre da noi viene utilizzata per risparmiare denaro, nel Regno Unito la sigaretta elettronica costa di più e non viene rimborsata dal sistema sanitario, cosa che invece accade alle fasce deboli che scelgono altri prodotti sostitutivi della nicotina”.
Il Ministero della salute è dunque fortemente ancorato sulle proprie posizioni. Nonostante i tentativi di dialogo e confronto, non appare disposto neppure ad ascoltare punti di vista differenti. Ministero dell’economia, industria del tabacco, produttori e negozianti di sigarette elettroniche, tabaccai: tutti colpevoli di volere o avere ucciso milioni di persone. Tutti colpevoli allo stesso modo. Se però il numero dei fumatori non cala da dieci anni, probabilmente qualche colpa ce l’avrà bene pure il Ministero della Salute? Se le politiche di comunicazione non riescono a raggiungere i giovani è perché probabilmente sono sbagliate. Se il numero verde è stato contattato da 60mila persone in 20 anni (venti anni!) è perché forse non è percepito così tanto utile. Ma queste domande non si possono fare agli autorevoli esponenti della classe medico-istituzionale del Paese. Perché non rispondono. E quando rispondono, lo fanno ricorrendo a insulti di bassa lega che squalificano non la persona che li ha pronunciati ma l’intera istituzione. Lo abbiamo provato sulla nostra pelle. Ma va tutto bene, Madama La Marchesa.

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