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Se i nostri figli puzzano di fumo, lo Stato non può dirsi profumato

Le politiche antitabagiche in Italia non funzionano. Fumatori ai massimi storici. Eppure le istituzioni non riescono a fare autocritica, sembrano accettare l'insuccesso come uno scherzo del destino cinico e baro.

Intervistato da Luca Tavecchio, firma de Il Giorno, il farmacologo Silvio Garattini si è lasciato andare ad una considerazione sulle sigarette elettroniche che sembrerebbe avere il solo scopo di gettare allarmismo:  “La sigaretta elettronica non toglie lo stimolo e il rischio di ricominciare [a fumare] rimane alto. I dati dicono che è maggiore il numero di chi inizia a fumare passando dalle sigarette elettroniche rispetto a quello di chi smette con questi dispositivi“.
Silvio Garattini, noto per le sue posizioni intransigenti nei confronti di tutte le dipendenze, cavalca il mantra diffuso e sponsotizzato dall’Organizzazione mondiale della sanità secondo cui non esistono vie di mezzo: o si è dipendenti da qualcosa, o non lo si è. Non tiene però conto che tra il bianco e il nero esitsono varie tonalità di grigio, che in ambito sanitario rispondono al nome di “strumenti di riduzione del danno”. D’altronde, è proprio lo Stato a riconoscere la funzione di alcuni di essi, come ad esempio il metadone. E allora perché autorevoli esponenti del mondo sanitario continuano a ostacolare la diffusione della sigaretta elettronica? Probabilmente perché sono ancora scottati dalla battaglia perduta nel 2013, quando cioé le lobby farmaceutiche – e la classe medica – avrebbero voluto accaparrarsi la vendita e distrubuzione della sigaretta elettronica. Fortunatamente per i consumatori – e per la salute pubblica – quella battaglia venne perduta. Ma da quel momento l’ostracismo si è fatto costante. Pressoché quotidiano.
Ci piacerebbe sapere quali dati abbia consultato il professor Garattini, quali studi e quali analisi dimostrano la tesi da lui evidenziata. Anche nel caso in cui non esistesse letteratura scientifica a sostegno della sigaretta elettronica, basterebbe un solo elemento per far capire quanto possa essere meno nociva e tossica delle sigarette tradizionali: non ha combustione. Già soltanto questo significa escludere a priori la produzione di centinaia di sostanze tossiche, molte di esse cancerogene.
Il Regno Unito sta puntando la comunicazione istituzionale antifumo proprio diffondendo messaggi a sostegno della sigaretta elettronica. Tra la sigaretta che fa male 100 – sostengono – è meglio utilizzare uno strumento elettronico che abbassa questa soglia almeno del 95 per cento. Non è un caso se il numero dei fumatori inglesi è in costante calo mentre in Italia il trend è inverso: si è tornati ai livelli del 2007, vanificando così il lavoro svolto nell’ultimo decennio. I consumatori italiani di sigarette elettroniche, secondo i dati Doxa, sono 1,1 milioni a fronte di quasi 12,2 milioni di fumatori (cioè circa il doppio di quelli inglesi).  E non si può dire che sia colpa della sigaretta elettronica: il consumo di tabacco è dimuito così come gli introiti erariali. Ergo, ci sono più fumatori che però consumano di meno. Semmai l’associazione potrebbe essere contraria: si fuma di meno perché si abbatte il fabbisogno di nicotina anche attraverso l’uso duale della sigaretta elettronica.
Qualcuno, poi, obietta che molti giovani utilizzano la sigaretta elettronica per iniziare a fumare. Chi sostiene questa tesi evidentemente non conosce il gusto che danno gli aromi per ecig: soltanto un pazzo potrebbe abbandonarli a favore dello sgradevole sapore di camino annerito che dà il tabacco combusto. E non dimentichiamo che se i minori hanno accesso ai prodotti del fumo è perché qualcuno glieli vende. E se qualcuno glieli vende è perché lo Stato non esercita la propria funzione di controllo. Un vecchio adagio recita che il pesce puzza sempre dalla testa. Se i nostri figli puzzano di fumo, lo Stato per primo non può definirsi profumato. I rivenditori di sigarette elettroniche stanno portando avanti di loro iniziativa la comunicazione rivolta ai consumatori. Hanno deciso di non vendere i prodotti del vaping ai minori, nonostante la legge lasci spazi di discrezionalità (per esempio per gli aromi). E si sta portando avanti una campagna che vuole sensibilizzare l’opinione pubblica verso il principio di riduzione del danno: #maggiorvapore = #minordanno. Un messaggio che scavalca dal basso il principio di massima precauzione, sostenuto invece dalle istituzioni italiane e, come abbiamo visto, rivelatosi perdente.
I numeri, infatti, sentenziano un clamoroso insuccesso delle politiche antifumo italiane. Eppure le istituzioni non fanno autocritica, sembrano accettare questi insuccessi come uno scherzo del destino cinico e baro, rimanendo tetragone nelle loro convinzioni. Gli strumenti di riduzione del danno, come la sigaretta elettronica, non hanno cittadinanza nelle strategie del Ministero della salute e vengono, anzi, demonizzate e disincentivate, mentre si continua a puntare tutto sui centri antifumo (che fanno numeri purtroppo trascurabili) e su campagne pubblicitarie che, onestamente, non comunicano niente a nessuno.
In Gran Bretagna, invece, il nesso fra diffusione delle ecig e calo dei fumatori è evidenziato e celebrato. Lo dice chiaramente anche Public Health England. In Inghilterra gli utilizzatori di sigaretta elettronica sono circa 2,5 milioni, oltre la metà di questi, il 51 per cento, ha completamente smesso di fumare, mentre il 45 per cento è dual user. Ma da questi numeri si evince anche altro. Sono 770 mila le persone che hanno smesso sia di fumare che di svapare, cioè coloro per i quali l’ecig è stata uno strumento di transizione. È poi importante notare come la percentuale di vaper abituali che non era già fumatore è un trascurabile 0,4 per cento. Dunque il timore che il vaping attiri i non fumatori non pare trovare riscontro nella realtà dei fatti.
Ma tutto questo, Garattini non lo sa?

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