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“La lotta al tabagismo deve essere razionale e non ideologica”

Fabio Beatrice: "Ogni fumatore deve essere affrontato come un individuo e non trattato come un numero. La clinica non è un luogo per crociate".

Come aiutare un fumatore ad abbandonare il pacchetto di sigarette? È più efficace spingerlo verso la cessazione o accompagnarlo in un percorso a tappe che preveda la riduzione del rischio? La scienza attualmente è divisa tra chi sostiene ideologicamente che tutte le dipendenze, in quanto tali, debbano essere sradicate e chi invece, più realisticamente, affronta la non risolta questione in maniera pragmatica, portando la discussione dal piano teorico al piano clinico. È il caso del professor Fabio Beatrice, otorinolaringoiatra, responsabile del Centro Antifumo dell’ospedale San Giovanni Bosco di Torino.
Ci sono 12 milioni di persone che fumano in Italia – spiega Beatrice – e per tanti che smettono, altrettanti iniziano. Una soluzione per ridurre i consumi potrebbe essere aumentare di 2 euro il prezzo delle sigarette e del tabacco trinciato destinando i proventi alla ricerca ed alle iniziative cliniche di aiuto ai tabagisti, diluendo invece la tassazione sui prodotti considerati meno tossici e dannosi in modo da orientare i consumi secondo una logica di minor rischio. Occorre un approccio meno ideologico e più concreto. Oggi paradossalmente si discute sulla liberalizzazione del commercio di cannabis che pure è assimilabile alla questione del tabagismo. Per fumare occorre la combustione proprio come per le sigarette e si sa che l’alcool fa male e produce migliaia di morti: cosa dovremmo fare? Rendere illegale la produzione e la vendita del vino? La lotta al tabagismo va affrontata in maniera più razionale e meno ideologica: visto che la teoria della “dipendenza zero” non funziona si può intervenire sul fumatore  in vari modi anche con aperture sulla riduzione del rischio nell’ambito del rapporto medico paziente. Ma, se gli esperti su questi punti si chiudono al dialogo e diventano giudicanti rispetto ai fumatori, purtroppo non si progredisce. Dobbiamo affidarci alla scienza ed alla ricerca ed essere sfiorati dal dubbio perché è necessario capire, tenendo però presente che dalla parte del fumo di tabacco abbiamo solo terribili certezze”.
Fabio Beatrice non ha preconcetti neppure sulle ricerche finanziate da aziende di produzione direttamente coinvolte nella filiera del tabacco, anche se sottolinea che auspica studi indipendenti. “Leggo tutti i lavori pubblicati su Pub Med e un ricercatore rimane un ricercatore a prescindere da chi finanzia la sua ricerca. L’unica cosa importante sono i risultati che si ottengono. Se sono verosimili, replicabili e verificabili significa che la ricerca ha sua una validità, altrimenti non ce l’ha. Il ricercatore che interviene ad un convegno scientifico deve essere valutato, ed eventualmente contraddetto, sul piano scientifico e metodologico. Tutta l’attuale tenzone sui finanziamenti delle multinazionali a favore della ricerca scientifica ha fatto sparire dal tavolo di discussione il concetto clinico di riduzione del rischio. Bisognerebbe invece approfondirlo e comprendere come utilizzarlo al meglio: dal mio punto di vista rappresenta uno strumento formidabile di gestione clinica. Infatti, se un fumatore in difficoltà non riesce a cessare e propone di provare il fumo digitale, contrastarlo vuol dire ricondurlo al consumo iniziale di sigarette. Quindi necessita produrre una proposta di cessazione senza alibi ma seguita da un intervento di aiuto al bisogno”.
Il dottor Beatrice, tutti i giorni, affronta casi reali, sa cosa significa esser malati, avere tumori causati dal fumo, non riuscire a smettere di fumare per la necessità di nicotina. È l’esperienza quotidiana a guidarlo nei suoi giudizi. “La clinica è l’arte del possibile, non è luogo per crociate. A me pare che attualmente ci sia troppa demagogia e spesso si tende a far di tutta l’erba un fascio. Ogni fumatore è un caso singolo, deve essere affrontato e soprattutto ascoltato come un individuo e non trattato come un numero. Sostenere che utilizzare la sigaretta elettronica o il riscaldatore di tabacco equivalga a fumare le sigarette tradizionali è improprio, perché con gli strumenti elettronici si abbatte drammaticamente il livello di monossido di carbonio, che è espressione diretta della tossicità da combustione. Che poi non si risolva la dipendenza tabagica è un altro discorso. Le conseguenze della dipendenza tabagica sono assai ampie ed una parte dei problemi potrebbero essere affrontati col tema della riduzione del rischio. Mettere poi il fumo elettronico e il fumo freddo sullo stesso piano, a mio giudizio, è improprio in base ai dati che si leggono su autorevoli riviste scientifiche internazionali ed alle prese di posizione di enti pubblici come il Ministero della Salute della Gran Bretagna. La scienza deve fare chiarezza per migliorare la comprensione e deve farlo in maniera asettica e senza tifo. Vanno accettati i dati per ciò che sono, altrimenti vanno contestati volta per volta, lavoro per lavoro, punto per punto. Auspico – conclude Beatrice – moderazione e curiosità nel ricercatore. In ogni caso la classe medica è diffusamente interessata alla riduzione del rischio perché semplicemente chi ha a che fare con i pazienti, vivendone la fragilità, sente il bisogno di intervenire ed aiutare”.

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