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Falsi studi per screditare la sicurezza della sigaretta elettronica

Volano gli stracci in seno alla comunità scientifica americana dopo la pubblicazione di ricerche che collegano il vaping all'infarto

Nel clima incandescente sviluppatosi negli Stati Uniti intorno alla sigaretta elettronica, iniziano a volare gli stracci anche fra gli scienziati. In particolare fra Brad Rodu, docente all’Università di Louisville e sostenitore della riduzione del danno, e Stanton Glantz della University of California di San Francisco, uno dei più duri e prolifici oppositori del vaping. A Glantz si deve, fra l’altro, la teoria del “gateway effect” (cioè che la sigaretta elettronica indurrebbe le persone al fumo di tabacco) che, pur non avendo mai trovato reale riscontro scientifico, continua pervicacemente a circolare. La nuova frontiera della scienza anti vaping – non potendo più seriamente mettere in dubbio la minore cancerogenicità dello strumento – sono le malattie cardiache e cardiovascolari. E, infatti, negli ultimi mesi abbiamo spesso riportato studi, tutti americani, che mettevano in relazione l’uso della sigaretta elettronica e la comparsa di eventi cardiaci gravi, con le relative eccezioni perlopiù di ordine metodologico fatte da scienziati come Konstantinos Farsalinos o Riccardo Polosa. In tutti i casi, si eccepiva che negli studi mancava il nesso di causalità fra uso dell’e-cigarette e insorgenza della malattia.
Oggi, però, Brad Rodu accusa apertamente Glantz, in riferimento ad uno studio molto recente pubblicato sul Journal of the American Hearth Association. Lo studio concludeva che il vaping raddoppiava il rischio di infarto e Glantz, in un post pubblico, buttava all’aria la prudenza affermando senza mezzi termini che la ricerca dimostrava che “le sigarette elettroniche causano l’infarto”. Spulciando i dati su cui si è basata la ricerca, però Rodu ha fatto una scoperta: la maggior parte dei 38 pazienti su cui si basava lo studio in questione, avevano avuto l’infarto prima di iniziare a svapare – in media, 10 anni prima.
Il docente di Louisville ha chiesto ufficialmente alla rivista scientifica di “ritrattare” lo studio, giudicandone le conclusioni “false e invalidate”. “La loro analisi – scrive Rodu all’editore, riferendosi a Glantz e al coautore Dharma Bhatta – è una violazione indifendibile di qualsiasi ragionevole standard di ricerca sulla associazione o la causalità. Vi esortiamo a prendere urgentemente provvedimenti su questo studio, compresa la sua ritrattazione”. Da parte sua, Glantz risponde definendo Rodu “un apologeta dell’industria del tabacco” e accusandolo di “tagliare e spezzettare” le ricerche proprie e altrui “per far sparire gli effetti”. Una pratica, ci permettiamo di dire, fin troppo in voga nel campo della ricerca scientifica, purtroppo spesso a discapito della salute pubblica.
Nella discussione è intervenuto, sul quotidiano Usa Today, anche Ray Niaura, docente della New York University con una lunga esperienza nella ricerca anti tabacco. Anch’egli, dopo aver analizzato i dati degli studi, conclude che non “vi sono prove scientifiche della relazione fra uso della sigaretta elettronica e infarto”. “Semplicemente – spiega – non siamo in grado di rispondere alla domanda fondamentale: se è venuto prima l’infarto o lo svapo”. E poi aggiunge: “Abbiamo avuto la prova del legame fra sigarette di tabacco e malattie cardiache dopo due o tre decenni. Le sigarette elettroniche sono utilizzate da troppo poco tempo”. Niaura è fra quegli scienziati che sostengono attivamente l’uso degli strumenti di riduzione del danno per i fumatori.
Insomma, nel bailamme americano emerge una sensazione poco rassicurante. E cioè che ormai non si riesca più a dialogare, ma si vedano schierate due tifoserie che, anche nel campo della ricerca, cerchino (anche con qualche spregiudicatezza) semplicemente conferma ai loro preconcetti, spesso più ideologici che scientifici. Peccato, però, che in ballo vi sia la salute di milioni di fumatori.

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