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L’e-cigarette fa male al cervello? Lo studio non segue standard riconosciuti

Secondo gli esperti del CoEhar di Catania lo studio sulle cellule staminali neuronali non replica l'esposizione umana.

Secondo uno studio pubblicato su iScience e condotto dalle dottoresse Prue Talbot e Atena Zahedi della University of California, l’uso della sigaretta elettronica potrebbe provocare stress o danni alle cellule staminali neuronali. L’esposizione ai liquidi potrebbe indurre la Simh, stress induced mitochondrial hyperfusion, una sorta di autodifesa dell’organismo. I pericoli alla lunga sarebbero il danneggiamento o la morte delle cellule staminali con conseguente invecchiamento precoce o malattie neurodegenerative. Questo vale, spiegano le ricercatrici che hanno condotto esperimenti in vitro su cellule di topi, per qualsiasi esposizione alla nicotina, quindi non solo per le sigarette elettroniche.
Abbiamo chiesto una valutazione dello studio in questione agli esperti del CoEhar, il Centro di eccellenza per la riduzione del danno da fumo dell’Università di Catania, che puntano subito il dito sulle metodologie di ricerca e la necessità di standard di riferimento validati. “Siamo alle solite – hanno commentato – il punto non è lo studio e le tecniche utilizzate, che sembrano ottime, ma gli standard seguiti che non sono comuni a tutti gli altri studi”.
Nello specifico – ha spiegato Massimo Caruso, docente di Patologia e Immunopatologia presso il Dipartimento di medicina clinica e sperimentale dell’Università di Catania – questo studio ha due handicap rilevanti. Non si evidenzia nessuna comparazione con le sigarette convenzionali (e questo non consente la valutazione immediata degli effetti relativi) ed il protocollo utilizzato per la valutazione dei vapori di sigaretta elettronica è non conforme a tutti gli standard stabiliti dai maggiori organi di riferimento in campo tossicologico per lo studio delle e-cig. Lo strumento utilizzato per la valutazione dei liquidi è una smoking machine, non invece una vaping machine, ideale per il monitoraggio dei liquidi“.
Esprime perplessità sui risultati dello studio anche Giovanni Li Volti, docente di biochimica del Dipartimento scienze biomediche e biotecnologiche e project leader del CoEhar: “Ciò che si evidenzia anche questa volta è che la realtà dell’esposizione che si ottiene non è quella che si replica con gli esseri umani”. Quello degli standard di ricerca sta diventando un problema urgente e infatti Li Volti aggiunge: “Tra i progetti presentati lo scorso 24 giugno a Catania dal CoEhar c’è il Replication Study, il primo studio di valutazione al mondo che consiste nella replicazione in sette Paesi dei più noti studi sui prodotti a rischio ridotto condotti senza alcuno standard di riferimento. Il nostro obiettivo è quello di verificare se, utilizzando standard di riferimento validati, i risultati saranno ancora gli stessi”. Una verifica quanto mai necessaria.

 

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