Testata giornalistica destinata agli operatori del settore delle sigarette elettroniche - Registrazione Tribunale di Roma: 234/2015; Registro Operatori della Comunicazione: 29956/2017 - Best Edizioni srls, viale Bruno Buozzi 47, Roma - Partita Iva 14153851002

Imitazioni e contraffazione: la buona fede non salva nessuno

Secondo la legge, la responsabilità ricade su tutti coloro che contribuiscono alla diffusione di un prodotto contraffatto, compreso il venditore finale. Una sanzione amministrativa pecuniaria può colpire anche l’acquirente.

(tratto da Sigmagazine #15 luglio-agosto 2019)

Il controllo sulla merce in esposizione e vendita nei propri esercizi potrebbe evitare al negoziante il rischio di dover incorrere in spiacevoli inconvenienti. La prima circostanza da tenere in considerazione è l’esistenza di titoli di proprietà industriale sui prodotti, dal momento che i relativi diritti conferiscono al loro titolare una tutela forte, immediata e diretta. La registrazione del marchio è il mezzo più semplice ed immediato attraverso cui il fabbricante tutela i propri prodotti; accanto ad essa, in tema di hardware e vaporizzatori, la registrazione del modello di design, costituisce lo strumento indubitabilmente più adatto a salvaguardare le opere di modder e produttori, generalmente prive dei requisiti di brevettabilità, conferendo protezione alla loro forma ed esteriorità. Occorre tenere presente che il venditore assume una responsabilità propria in ordine alla originalità dei prodotti, che in linea di principio non è esclusa dalla addebitabilità delle violazioni al proprio fornitore, come documenta la copiosa giurisprudenza sul tema. Tra le tante, il Tribunale di Firenze (19 luglio 2017) ha, ad esempio, precisato che “sono responsabili della contraffazione tutti coloro che contribuiscono alla diffusione del prodotto contraffatto, compreso il venditore in buona fede, che non può essere manlevato dal produttore”.
Le registrazioni offrono, dunque, tutela al titolare di diritti di esclusiva per ogni fase della filiera relativa al prodotto oggetto di copertura, dalla sua fabbricazione alla vendita finale, grazie al nucleo di norme comunitarie e nazionali a ciò dedicate, in primis Codice della proprietà industriale in ambito nazionale (Decreto Legislativo n. 30/2005 e successive modifiche). Tale protezione si estrinseca attraverso un apparato normativo e sanzionatorio che ha rilevanza civile, penale ed amministrativa. Civilmente, la salvaguardia attribuisce al titolare di inibire in via urgente tutte le attività aventi ad oggetto l’utilizzazione di marchi e modelli, nonché la commercializzazione dei relativi prodotti con diritto del titolare al risarcimento di tutti i danni conseguenti a tali attività illecite. Penalmente, ogni attività illecita è punita dal corpus normativo istituente i delitti di contraffazione ed affini di cui in particolare agli artt. 473 (contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero di brevetti, modelli e disegni), 474 (introduzione nello Stato e commercio di prodotti con marchi o altri segni distintivi contraffatti o alterati) e 517 del Codice penale (vendita o messa in circolazione di prodotti industriali con nomi, marchi o segni distintivi mendaci).
Infine, la legge (art. 17 L. 99/2009) prevede una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 7.000 euro per l’acquirente finale di prodotti che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine o provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale; mentre l’operatore commerciale, l’importatore – o qualunque altro soggetto diverso dall’acquirente finale – che abbia acquistato tali prodotti è soggetto a sanzione amministrativa da 20.000 a 1 milione di euro, salvo che il fatto costituisca reato più grave, come ad esempio nell’ipotesi in cui l’acquisto sia finalizzato alla sua successiva commercializzazione nel qual caso potrebbe essere contestato il reato di ricettazione. In ogni caso si procede alla confisca dei prodotti contraffatti. Nei recenti casi Vampire e Vaper’s Mood (ordinanze del 28 maggio 2018 e 27 settembre 2018), la Sezione specializzata in materia di impresa del Tribunale di Roma ha disposto il divieto di vendita, il ritiro dal commercio ed il sequestro dei prodotti contraffatti, esponendo, tra l’altro, alcuni rivenditori al pagamento delle relative spese legali nonché a possibili azioni risarcitorie nel merito, derivanti dalle constatate violazioni.
Particolare attenzione deve porsi ai marchi registrati, dal momento che, al di là della registrazione dei modelli di design, la semplice apposizione del marchio coperto da privativa su prodotti o confezioni, costituisce, se non autorizzata, violazione soggetta alle sanzioni civili, penali ed amministrative, di cui sopra. Merita una annotazione finale la falsa convinzione che operare su repliche di prodotti non coperti da titoli di privativa, costituisca sempre e comunque attività lecita. Non è così. L’assenza di titoli di privativa non mette totalmente al riparo dal rischio di incorrere in sanzioni, dal momento che l’art. 2598 n. 1 del Codice civile qualifica “atto di concorrenza sleale”, pure l’“imitazione servile”, cioè “la riproduzione di caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, idonee, in virtù della loro capacità distintiva, a ricollegare il prodotto ad una determinata impresa” (ex multis Cass. Civ. 3967/2004, 29775/2008, 1062/2006). Ciò vale a dire che vendere prodotti palesemente copiati dall’autore, al di là dell’esistenza di marchi o modelli registrati, potrebbe costituire atto illegittimo di concorrenza sleale.
Come chiarisce la giurisprudenza di merito, l’art. 2598 del Codice civile n. 1 fornisce, infatti, protezione pure ai prodotti non specificatamente coperti da un titolo di proprietà industriale, dal momento che qualifica come “atti di concorrenza sleale una serie di condotte accomunate dalla potenzialità confusoria, idonee cioè a produrre confusione con i prodotti e le attività di un concorrente. Tra le ipotesi previste dalla norma vi è appunto l’imitazione servile dei prodotti di un concorrente, ossia l’imitazione pedissequa dell’altrui prodotto” (Trib. Torino sez. Impresa, 1809/2016 del 1 aprile 2016). La Suprema Corte specifica che “in tema di concorrenza sleale, costituisce imitazione rilevante, ai fini della concorrenza sleale per confondibilità, la riproduzione di una forma del prodotto altrui, che cada sulle caratteristiche esteriori dotate di efficacia individualizzante, e dunque idonee, proprio in virtù della loro capacità distintiva, a ricollegare il prodotto a una determinata impresa, imprimendosi nella mente dei consumatori” (Cass. Civ., sez. I, 26/11/2008 n. 28215).

Articoli correlati