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E-cig, ecco l’inchiesta che ha portato all’esposto all’Antitrust

Pubblichiamo l'inchiesta curata da Stefania Villa per la sezione Salute di Altroconsumo che ha spinto l'associazione a ricorrere all'Autority della concorrenza contro le aziende e gli influencer del vaping.

È stata una inchiesta pubblicata nella sezione Salute di Altroconsumo a dare avvio all’esposto all’Antitrust contro il marketing delle sigarette elettroniche sui social. Nelle quattro pagine curate da Stefania Villa non viene risparmiato nessuno: British American Tobacco, Imperial Tobacco, Juul, tutte le piccole e medie aziende del vaping, sino a Philip Morris. Quest’ultima, in particolare, ha un titolo appositamente dedicato: “Iqos dappertutto, non innocue e sempre in vista“.
Ma il corpo centrale dell’articolo è dedicato all’esplosione di post e fotografie di sigarette elettroniche e liquidi di ricariche sulle pagine social. Atteggiamento che va in contrasto con il decreto legislativo di recepimento della Tpd. “L’influencer marketing – scrive Stefania Villa – sui social non può che essere in contrasto con il principio di questa normativa, che con il divieto esplicito sui vari media ha proprio l’obiettivo di tutelare gli utenti dall’esposizione a qualsiasi tipo di messaggio pubblicitario: per questo abbiamo segnalato queste pratiche all’Antitrust”.
Ma come si è arrivati a questo punto? Villa lo spiega nelle righe successive. “Quando non c’erano ancora divieti alla pubblicità si sono scelti testimonial noti, dal regale Principe Emanuele Filiberto di Savoia al familiare Jerry Scotti, per poi arrivare ai social. Basta fare una ricerca di questi hashtag (parole chiave) su Instagram (si può fare anche senza avere un account): #svapo #vape #vapeporn #svapoitalia #svapomania si trovano centinaia di migliaia di post. Molti di prodotti, altri di ragazzi più o meno giovani, che magari si cimentano in anelli e altre evoluzioni acrobatiche con il vapore espirato, raggiungendo discrete quote di like; in alcuni casi, tra gli hashtag, si può anche trovare la parola #ad (sta per advertising, pubblicità) o #fornitoda, come nei post che sono qui a destra: è una parola chiave con cui l’influencer (o microinfluencer, a seconda del numero dei follower), dichiara di aver fatto quel post perché pagato dal produttore o perché ha ricevuto l’e-cig in regalo dall’azienda stessa. E se non è pubblicità questa…”. Come se non bastasse, arriva poi il carico da novanta, un vero e proprio j’accuse contro il sistema. “A questo si aggiungono tutti gli influencer che non lo dichiarano, recensioni online, youtubers, gruppi facebook dove non sempre sembra che si parli di sigarette elettroniche per spontanea passione. Intorno allo svapo si è di fatto creata una vera e propria community – i cosiddetti “vapers” – in cui si condivide, si sperimentano prodotti, gusti, con tanto di fiere, incontri, “artisti” e artigiani dello svapo, addirittura tutorial per farsi da soli la propria e-cig, acquistando elementi elettronici da assemblare, o liquidi da miscelare. E tutto ciò non può che far gola ai produttori”. Come dicevamo, una evidenza a parte è stata data a Iqos, il riscaldatore di tabacco della Philip Morris. Già il titolo la dice lunga sui contenuti, accompagnato anche da due foto che ritraggono temporary store del dispositivo. Ma è il testo a porre quella che per Altroconsumo è una sentenza: “Iqos fa un uso massiccio di sponsorizzazioni a eventi di rilievo internazionale (in basso la sponsorizzazione alla Milano Design Week e agli Internazionali di tennis): una pratica che è vietata espressamente per le sigarette tradizionali e per le elettroniche, ma – inspiegabilmente – non per le Iqos, che sono a metà tra le due. Abbiamo segnalato queste anomalie all’Autorità garante per la concorrenza e il mercato“.
Un attacco che dunque accerchia l’intera industria coinvolta nella filiera degli strumenti a rischio ridotto. Appare evidente che non è sufficiente affidarsi al banale e semplicistico complottismo di Big Tobacco. Anche perché è arrivato immediatamente dopo la pubblicazione del Report sul fumo dell’Oms. Questa volta, quindi, c’è ben altro da cui la filiera del vaping deve ripararsi.
Per leggere l’articolo originale è sufficiente scaricare il Pdf dell’ Inchiesta Altroconsumo.

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