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Polmonite chimica, Beatrice: colpa del Thc non della sigaretta elettronica

Il professore torinese spiega cosa sta accadendo negli Usa. Mancini (Flavourart): nessuna tossicità nei soggetti che usano liquidi legali.

Al momento le autorità sanitarie statunitensi non sono in grado di spiegare l’epidemia di malattie polmonari che si sta verificando. Ma nella maggior parte dei casi i consumatori interrogati hanno riferito di aver caricato le sigarette elettroniche con liquidi contenenti Thc, il principio attivo della marijuana”. Così il professor Fabio Beatrice, otorinolaringoiatra e direttore del centro antifumo dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino commenta i casi di malattie polmonari che si stanno verificando negli Stati Uniti. Al momento si registrano circa 200 casi “possibili” diffusi in diversi Stati e un decesso in Illinois, che ha contribuito a scatenare il panico tra le autorità sanitarie locali e sui media.
Ma quello che pare delinearsi sempre più chiaramente e che ha indotto anche le istituzioni sanitarie nazionali a lanciare un allarme specifico, è che le persone che sono state ospedalizzate avevano caricato le loro sigarette elettroniche non con normali liquidi con o senza nicotina, ma con oli di marijuana, estratti o concentrati, molto probabilmente provenienti dal mercato illegale. Un fatto che fa una differenza enorme e che sposta l’attenzione dal fumo elettronico in sé al prodotto consumato. “Un uso improprio di un device elettronico con l’inalazione di sostanze stupefacenti o di altra pericolosa natura – spiega infatti Beatrice – espone ovviamente a gravi rischi per la salute legati alla natura stessa delle sostanze e non della modalità con cui vengono inalate”.
Quella che hanno contratto i cittadini statunitensi è probabilmente una cosiddetta polmonite ‘chimica’– continua il professore torinese – una infiammazione dei polmoni che segue all’inalazione di sostanze chimiche come gas inalati sul luogo di lavoro, pesticidi e fertilizzanti per l’agricoltura diffusi nell’aria dei campi ma può essere causata anche dall’inalazione del fumo scaturito dalla prossimità di un incendio. E, per la proprietà transitiva, anche per qualsiasi sostanza non controllata come additivi, alimenti, aromi o stupefacenti diluiti e poi inseriti nella sigaretta elettronica per cercare nuovi sapori o sballo. Non è molto diverso da quello che avviene nei fumatori di crack, solo che i dati epidemiologici sul consumo di sostanze illegali non arrivano all’attenzione dei pronto soccorso, se non in casi gravissimi”.
I sintomi di questo tipo di polmonite sono quelli riportati dai pazienti ospedalizzati negli Stati Uniti e del tutto analoghi a quelli di una forma batterica: dolore al petto, tosse, fiato corto e febbre a cui si possono aggiungere senso di affaticamento, perdita di appetito e nausea. “Nelle forme più lievi – conclude Fabio Beatrice – sono sufficienti pochi giorni di riposo e la totale astensione dal fumo per apprezzare una regressione dei sintomi, associati a dosi di corticosteroidi per diminuire l’infiammazione locale, mentre nelle forme più gravi è necessario l’uso di ossigeno sino alla ventilazione meccanica”.
I rappresentanti dell’industria della sigaretta elettronica, tanto negli Usa quanto in Europa, puntano il dito contro il mercato nero, che vende prodotti a basso presso e spesso contenenti droghe illegali. Da tutte le parti si cerca di rassicurare i consumatori sulla qualità e la sicurezza dei liquidi venduti nel mercato regolare. In particolare in Europa e in Italia, dove, come ribadito dal presidente di Anafe Umberto Roccatti, “le regole sono rigide e ogni prodotto immesso sul mercato è sottoposto ad analisi estremamente approfondite”. Lo sottolinea in un comunicato giunto in redazione anche Massimiliano Mancini, ceo dell’azienda italiana Flavourart. “Non ci sono segnalazioni di polmoniti o problemi di tossicità – dichiara Mancini – nei soggetti che utilizzano aromi e liquidi con nicotina del mercato legale. Si tratta infatti di prodotti soggetti ad una severa legislazione, creati in laboratori caratterizzati dalle più restrittive norme di Good Manufactoring Practice e soggetti a controlli di qualità”.

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