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Sigarette elettroniche, ipotesi dalla sanità: più tasse e vietare gli aromi

Alla vigilia della legge di bilancio, il dibattito comincia a prendere forma e sostanza. Sono due medici i primi a intervenire.

Sceglie la formula della lettera al direttore il Quotidiano di Sanità, l’organo di riferimento dell’informazione sanitaria, per esprimere il proprio giudizio sulle sigarette elettroniche. Occorre tassarle, occorre equipare i divieti tra vapore e fumo, occorre vietare gli aromi. La lettera è firmata da Massimo Volpe (cardiologo, docente a La Sapienza, presidente della Siprec) e Roberto Volpe (ricercatore Cnr). Eppure i due medici dicono in premessa che “chi sostituisce completamente le sigarette contenenti tabacco combustibile con quelle elettroniche (in cui sono presenti ‘solo’ nicotina e/o aromi), è esposto a una minor esposizione alle numerose sostanze tossiche (come, ad esempio, l’acido cianidrico, l’ammoniaca, la formaldeide, il monossido di carbonio) e cancerogene (come, ad esempio, l’arsenico, il benzene, il cadmio, il polonio) tipiche del fumo di sigarette tradizionali)”. Quindi, come da loro stessi sottolineato, la sigaretta elettronica riduce il rischio del fumo. Questo, almeno, è dato per assodato.
I problemi arrivano dopo. Quando cioè aggiungono: “Tuttavia, le sigarette elettroniche producono dei vapori non presenti nelle sigarette tradizionali di cui, a tutt’oggi, non si conoscono bene gli effetti sull’organismo. E a tal proposito, negli Stati Uniti, primo Paese in cui sono state commercializzate, cominciano ad essere riportati dati riguardanti centinaia di consumatori di e-cig che hanno evidenziato danni all’apparato respiratorio (con una decina di casi mortali)”. Basandoci su quanto riferito dalla Food and Drug Administration e dai Centers for Disease Control and Prevention, la causa della acuta malattia polmonare non sarebbe da ricercarsi nella sigaretta elettronica ma nell’abuso di sostanze tossiche e nocive reperite nel mercato nero. Cartucce precaricate al Thc sintetico, pare di origine cinese, che in pochi mesi hanno invaso gli Stati Uniti. Qualsiasi strumento, dal bisturi alla siringa, dalla penna biro alla catenina d’oro, può rivelarsi pericoloso se non viene utilizzato con lo scopo per cui è stato creato. Le intenzioni dei due esponenti della Società italiana di Cardiologia prendono forma e sostanza nella parte conclusiva del loro intervento. “Un altro punto controverso è se esse possano essere di aiuto per smettere di fumare, come propagandato dalla pubblicità e come obiettivamente auspicabile. Ciò perché le evidenze ci indicano, invece, che spesso le persone fumano entrambe i tipi di sigarette. Inoltre, diversi ex-fumatori sono portati a riprendere a fumare, seppure solo le sigarette elettroniche, e i non fumatori, soprattutto giovani, spesso attirati anche dagli aromi presenti nelle sigarette elettroniche, sono indotti a iniziare a fumarle. Certo, non è sempre facile interpretare i dati presenti in letteratura, sia epidemiologici che sul rischio, legati all’uso delle e-cig, per la possibile presenza di un evidente conflitto di interesse. In altre parole, spesso (non sempre) gli studi che sottolineano, ad esempio, la ‘sicurezza’ delle sigarette elettroniche, sono stati sponsorizzati dall’industria”.
Quindi, visto che le uniche ricerche esistenti non sono state effettuate da ricercatori indipendenti ma commissionate dall’industria, occorre che il sistema sanitario nazionale conduca “studi indipendenti a lungo termine per chiarire i reali effetti delle sigarette elettroniche sul rischio cardiovascolare (ma anche polmonare e oncologico) e la loro minor rischiosità rispetto alle sigarette tradizionali”. E ipotizzano un nuovo scenario regolatorio:  “Gli aromi dovrebbero essere proibiti, sia per motivi di sicurezza che per il pericolo di attrazione nei confronti dei giovani; le sigarette elettroniche dovrebbero essere sottoposte alle stesse restrizioni a cui sono soggette le sigarette tradizionali, sia in termini di marketing (pubblicità, etichettatura dei pacchetti), che di proibizione nei luoghi pubblici, in modo da proteggere dai ‘vapori’ passivi; la tassazione dovrebbe essere adeguata a scoraggiarne l’uso soprattutto tra i giovani. Insomma, occorre pensarci: tassare il fumo può essere una potente arma per migliorare la prevenzione cardiovascolare”.
L’antica diatriba tra Ministero dell’economia e Ministero della salute tra chi debba regolamentare e normare il settore del vaping sta riprendo anima. Da un lato esiste una Direttiva europea che pone il vapore sotto l’egida del tabacco; dall’altro ci sono gli organismi e le istituzioni sanitarie che vorrebbero trattare la sigaretta elettronica alla stregua di un medicinale, venduto in farmacia e prescritto dai medici. Ogni volta che non si è in grado di monitorare o controllare un fenomeno, è vecchia prassi tassarlo o vietarlo. Questo sta accadendo anche nel mondo del vaping. La scuola di pensiero che richiama la massima precauzione evita sempre di citare – o di confrontarsi – con i colleghi anglosassoni che invece reputano la sigaretta elettronica il migliore strumento a rischio ridotto attualmente disponibile in commercio. E che, fra l’altro, hanno prodotto una grossa mole di letteratura scientifica indipendente a sostegno della sua efficacia per smettere di fumare e della sua drastica riduzione del rischio da fumo. Per questo motivo lo sostengono, lo veicolano, lo pubblicizzano. Non per profitto ma per tutelare la salute dei milioni di fumatori inglesi. E i risultati stanno arrivando: basti pensare che negli ultimi anni, grazie alle campagne di sensibilizzazione e di informazione, i fumatori sono scesi del 5 per cento. In Italia, i numeri dicono invece che da 11 anni a questa parte i fumatori italiani stabili a 12 milioni. Ovvero, tanti escono dalla dipendenza, quanti ne entrano. Se la sanità non tiene in considerazione le ricerche commissionate dall’industria – ma perché, poi? la ricerca si basa sulla fondatezza e la replicabilità, a prescindere da chi l’abbia finanziata – dovrebbe avere la disponibilità di risorse e tempo per effettuarne di sue. È da dieci anni che le istituzioni sanitarie lamentano la mancanza di ricerche indipendenti ma poi aggiungono che non ci sono soldi per poterle fare. E allora andiamo avanti così, continuiamo a piangerci addosso per poi trovare sempre la via più semplice: tassare, abolire, vietare, monopolizzare, proteggere. Nel frattempo, muoiono in Italia 70 mila persona all’anno per malattie fumo-correlate, 228 al giorno. E una è morta nel tempo che avete impiegato a leggere l’articolo.

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