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Per fermare la sigaretta elettronica si sta buttando il bambino con l’acqua sporca

I detrattori della riduzione del danno, i portatori del dogma del tutto o niente, della cessazione assoluta, quelli che vedono nel fumatore un peccatore che si può redimere solo con l’umiliazione in questi giorni si stanno sicuramente fregando le mani. E non solo dall’altra parte dell’Atlantico.

Devono aver avuto un brusco risveglio quegli elettori, vaper e non, che nel novembre del 2016 avevano scommesso su Donald Trump, convinti che avrebbe avuto un approccio liberale sulla sigaretta elettronica. Solo sette mesi fa, a lui si erano appellati  diciassette fra i maggiori think tank conservatori e libertari, chiedendo di fermare l’attacco della Food and Drug Administration “ad aziende e consumatori che fanno affidamento su alternative meno dannose delle sigarette”. Anche per loro le parole pronunciate ieri in conferenza stampa dal presidente Trump, in cui ha annunciato l’intenzione di vietare tutti gli aromi (cioè i gusti diversi dal tabacco) nelle sigarette elettroniche, devono essere state una doccia fredda. “Il vaping sta uccidendo la gente”, ha ripetuto più volte davanti alle telecamere Trump, senza fare alcuna distinzione fra mercato legale di prodotti alla nicotina e mercato illegale di prodotti contraffatti contenenti Thc, che finora sono quelli ritenuti colpevoli della crisi di malattie polmonari in corso negli Stati Uniti.

Polmone sottoposto a fumo (sx) e a vapore (dx)

E, ricordiamolo, solo negli Stati Uniti, mentre in tutto il resto del mondo gli ex fumatori continuano a svapare tranquillamente, alcuni ormai da molti anni, senza riportare non solo i gravi disturbi polmonari registrati negli Usa, che hanno portato a numerosi ricoveri ospedalieri e sei decessi, ma nemmeno effetti collaterali di minore entità degni di nota. E già questo, da una prospettiva puramente epidemiologica, dovrebbe suggerire qualcosa, come spiegato dal cardiologo greco Konstantinos Farsalinos in un recente intervento. Lo scoppio di molti casi concentrati in poche settimane, la concentrazione geografica di questi casi, la fascia di età specifica degli interessati (adolescenti o giovani adulti), i sintomi acuti dei disturbi. Tutto questo dovrebbe suggerire – sostiene Farsalinos – che la causa non va ricercata nei liquidi per il vaping in commercio da ormai oltre un decennio in Usa e nel resto del mondo, ma in qualche nuovo prodotto arrivato recentemente sul mercato. E probabilmente non su quello legale.
Ma tant’è. Le cose sono andate molto diversamente. Sono stati lanciati allarmi generici (anche quando sarebbe stato possibile essere più specifici), resi efficaci da una campagna mediatica contro la sigaretta elettronica andata avanti in maniera estenuate nei mesi precedenti, dalle prefiche del tobacco control che si stracciavano le vesti per la nuova epidemia del vaping, da una diffusione del panico incontrollata che descriveva l’industria del vaping come un mostro pronto a mangiare i bambini di una nazione. La settimana scorsa l’ex sindaco di New York, l’imprenditore Michael Bloomberg, ha annunciato un finanziamento di 160 milioni di dollari a Campaign for Tobacco-Free Kids per promuovere il divieto degli aromi nei liquidi per sigarette elettroniche. Ma, viste le dichiarazioni del segretario di Stato per la salute Alex Azar, a margine della conferenza stampa di Trump, non dovrà fare molti sforzi: il risultato è già raggiunto.
L’industria del vaping americana non ha colpe in tutto questo? Certamente ne ha. È difficilmente negabile che in alcuni casi siano state adottate pratiche di marketing leggere, a voler essere buoni, senza preoccuparsi troppo delle conseguenze, che avrebbero coinvolto un intero settore e i suoi consumatori. Ma rischiare di distruggere uno strumento che, dati alla mano, ha aiutato milioni di fumatori in tutto in mondo a smettere di fumare, è come gettare il bambino con l’acqua sporca. E vietare gli aromi nei liquidi per il vaping significa privare lo strumento di una delle caratteristiche che lo rendono più attraente per i fumatori e che li aiuta a liberarsi dal fumo, come sostenuto anche da diversi studi in materia. Figuriamoci, poi, dire che “il vaping uccide”.
I detrattori della riduzione del danno, i portatori del dogma del tutto o niente, della cessazione assoluta, quelli che vedono nel fumatore un peccatore che si può redimere solo con l’umiliazione si stanno sicuramente fregando le mani in questi giorni e non solo dall’altra parte dell’Atlantico. La loro speranza è che l’onda lunga degli Stati Uniti arrivi anche in Europa, anche se qui c’è una normativa stringente a garanzia della sicurezza dei prodotti per il vaping e non si è verificato un solo caso di malattie polmonari legate all’uso dell’e-cigarette. Ma già oggi su qualche media si inizia a far circolare l’ipotesi che sia così perché in Europa non si tiene traccia di questi casi. Insomma, l’offensiva sembra appena iniziata e potrà avere molti vincitori. Di sicuro potrà avere anche molti perdenti: tutti quei fumatori che avrebbero potuto cercare di smettere di fumare con la sigaretta elettronica. E prima che qualcuno ci accusi di essere complottisti, vi invitiamo a ricordare la vicenda europea dello snus, quelle bustine di tabacco che si mettono sotto il labbro. Vietato in Europa, anche sulla base di dossier dell’Organizzazione mondiale della sanità, è rimasto in vendita solo in Svezia, che chiese una deroga nella fase dei negoziati di adesione. Oggi il Paese scandinavo ha il più basso tasso di fumatori dell’intera Unione, i tumori al polmone sono la metà della media europea e quelli al pancreas e al cavo orale (tanto temuti) sono i più bassi in Europa. Eppure l’Unione europea continua a vietarlo. Perché? Ci piacerebbe saperlo.

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