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Sigarette elettroniche, Università Luiss: una nuova fiscalità è possibile

Secondo uno studio condotto dal centro per gli studi monetari e finanziari dell’Università Luiss Guido Carli, in collaborazione con British American Tobacco Italia, la tassazione dei prodotti da vaping dovrebbe tenere conto anche delle diverse peculiarità rispetto al tabacco, specialmente in termini di ridotto potenziale di rischio.

Presentato a Palazzo Ferrajoli a Roma lo studio realizzato dal Centro Arcelli per gli Studi Monetari e Finanziari (CASMEF) dell’università Luiss Guido Carli con il contributo di British American Tobacco Italia che analizza lo stato del mercato della sigaretta elettronica in Italia e in Europa con particolare riguardo alla relazione tra evoluzione della domanda e regime fiscale. Lo studio è stato condotto dai professori Stefano Marzioni, Alessandro Pandimiglio e Marco Spallone (coordinatore del centro e docente di Economia presso l’università Luiss e G. d’Annunzio di Pescara) che ne ha illustrato i contenuti oggi, nel corso dell’evento. Alla presentazione sono intervenuti Thimoty R. Phillips, Managing Director di ECigIntelligence, Donato Raponi, Senior Advisor Deloitte, Fabio Annunziata, Dirigente del Dipartimento Relazioni Istituzionali del MEF, Fabio Beatrice, Direttore del centro Antifumo dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino e Roberta Palazzetti, Ad e Presidente di British American Tobacco Italia e BAT South Europe Area Director. L’Europa è il secondo mercato mondiale per la sigaretta elettronica dopo gli Stati Uniti, che hanno raggiunto nel 2019 un volume di vendite pari a 4.8 miliardi di dollari. In particolare, sono cinque i paesi Europei in cui si registra il maggior consumo di questo prodotto: Regno Unito, Germania, Polonia, Francia e Italia; Spagna, Portogallo e Grecia sono i paesi in cui più di recente è stata introdotta la sigaretta elettronica. Si stima che il mercato europeo possa arrivare a toccare i 7 miliardi di euro nei prossimi 5 anni.  Il mercato italiano delle e-cig è uno tra i più dinamici e sviluppati in Europa, con un’incidenza di utilizzatori pari al 2,6% della popolazione adulta, i cui i volumi di mercato sono pari a circa il 10% di quelli europei. L’Italia ha sperimentato un forte incremento nei volumi di vendita a partire dal 2016, anno in cui le vendite sono cresciute del 203,5% rispetto all’anno precedente. La rapida espansione del mercato e-cig italiano ha indotto il governo a regolamentare maggiormente il settore e a innalzare notevolmente il livello di tassazione dei liquidi:

  • l’inasprimento della tassazione ha prodotto, tuttavia, una riduzione dei volumi di vendita fra il 2016 e il 2017 del 12,7%, che a sua volta ha ridotto le entrate fiscali a €3,4 milioni contro i 5 milioni previsti;
  • nel 2018 il governo ha introdotto una tassazione più lieve che ha permesso al mercato di tornare a crescere su ritmi sostenuti. Nel 2018 i volumi di vendita sono cresciuti del 4,5% e si prevede che per il 2019 i volumi cresceranno del 14,5%, per raggiungere il 20% nel 2020;
  • alla riduzione dell’accisa avvenuta nel 2019 ha fatto seguito un incremento del valore di mercato, che è previsto possa attestarsi a 591 milioni di euro nel 2019 e si prevede raggiunga i 709 milioni di euro nel 2020.

Da un punto di vista industriale il mercato delle sigarette elettroniche è molto più frammentato di quello dei prodotti tradizionali del tabacco (caratterizzato da un numero limitato di produttori e canali di vendita), sia dal lato della produzione che da quello della distribuzione. Una frammentazione che implica una maggiore complessità di gestione della raccolta erariale. Inoltre, da un punto di vista normativo, non esiste ancora un quadro europeo di riferimento sulla fiscalità di questi prodotti. La scelta del regime fiscale è dunque cruciale per il futuro del mercato. L’andamento della domanda di sigarette elettroniche, infatti, sembra risentire del peso della fiscalità. Gli esiti dell’indagine mostrano infatti che il potenziale rischio ridotto della sigaretta elettronica, come risulta da alcuni studi scientifici, dovrebbe indurre ad una tassazione diversa ed inferiore rispetto alle sigarette tradizionali, parametrando una eventuale accisa proprio rispetto ai minori costi sulla spesa sanitaria pubblica dei fumatori che sono passati alle sigarette di nuova tecnologia e a minore impatto sulla salute. Un ulteriore elemento di complessità nella scelta del Legislatore è dato dal potenziale commercio illecito. Infatti, nonostante il divieto di vendite transfrontaliere online, una tassazione particolarmente svantaggiosa rispetto ad altri Paesi potrebbe determinare il trasferimento dei produttori nelle aree con minori oneri fiscali”, ha dichiarato il professor Marco Spallone. Gli esiti dell’indagine tengono conto anche delle esperienze di due paesi (Portogallo e Regno Unito) che hanno applicato regimi fiscali diametralmente opposti: in generale, i Paesi che hanno implementato impianti regolatori relativamente onerosi hanno generalmente condizionato negativamente la domanda.
In Portogallo – ad esempio – l’applicazione di logiche fiscali vicine a quelle utilizzate per il tabacco tradizionale ad una categoria di prodotto sostanzialmente diversa, ha rischiato di compromettere la sostenibilità di medio-lungo periodo dell’intero comparto della sigaretta elettronica. Qui il legislatore applica un’accisa specifica sui liquidi con e senza nicotina, oltre all’Iva al 22 per cento. Nel Regno Unito, invece, il legislatore, riconoscendo la possibilità di ridurre le esternalità negative derivanti dal fumo (come testimoniato dagli studi del Public Health of England), ha implementato politiche sanitarie volte a favorire la migrazione dei fumatori verso prodotti che possono rappresentare un’opzione meno rischiosa, inserendo di fatto le sigarette elettroniche in una strategia più ampia di lotta la fumo e, contestualmente, adottando una fiscalità favorevole che non prevede l’imposizione di accise e dove l’unica imposta applicata è l’Iva al 20 per cento.
Durante l’evento Roberta Palazzetti, Ad e Presidente di British American Tobacco Italia ha dichiarato: “Le sigarette elettroniche, rispetto ai prodotti del tabacco, rappresentano oggettivamente una categoria diversa e a sé stante. Non solo perché nelle e-cig manca, ‘fisicamente’, la presenza del tabacco; ma anche in relazione al concetto di spettro del rischio che vede la comunità scientifica sempre più orientata verso il riconoscimento della potenziale riduzione del rischio associato all’uso delle sigarette elettroniche, rispetto alle sigarette e agli altri prodotti contenenti tabacco. È quindi necessario distinguere in modo netto i prodotti da vaping da quelli del tabacco: una distinzione che, auspichiamo, non potrà che riflettersi in un diverso inquadramento e in un diverso trattamento sotto il profilo regolatorio e fiscale, in linea con le diverse peculiarità di questi prodotti, specialmente in termini di ridotto potenziale di rischio”.
Nel caso delle sigarette elettroniche esiste dunque un chiaro trade-off tra obiettivi fiscali e obiettivi di salute pubblica. Studi indipendenti rilevano che «coloro che iniziano a utilizzare sigarette elettroniche al fine di smettere di fumare tabacco hanno più probabilità di continuare a utilizzare sigarette elettroniche», convertendosi definitivamente dal fumo tradizionale al vaping. E le e-cig non costituirebbero un canale di accesso al consumo di prodotti tradizionali del tabacco tra i non fumatori. In tal senso, si potrebbe affermare che per ogni switcher avviene una riduzione dei costi sia per la società sia per il singolo individuo, implicando in questo modo che una corretta modulazione della fiscalità potrebbe rivelarsi uno strumento efficace nel raggiungimento degli obiettivi di salute pubblica dello Stato. Per contro, sembrerebbe che l’applicazione di politiche fiscali impositive troppo onerose sulle sigarette elettroniche, con l’obiettivo di aumentare il gettito, potrebbe determinare il triplice effetto negativo di: attenuare l’efficacia delle politiche volte alla riduzione del danno, scoraggiando i fumatori che volessero passare dalle sigarette tradizionali a prodotti con un minore potenziale rischio, riducendo il differenziale di prezzo tra queste diverse categorie di prodotti; aumentare il rischio legato al commercio illecito; comportare ingenti perdite di gettito, come avvenuto in Portogallo, portando risultati opposti a quelli prefissati sia per la salute pubblica che per le entrate erariali. D’altra parte, da un’analisi approfondita del gettito derivante dalle e-cig in relazione con il contrabbando dei prodotti tradizionali del tabacco, risulta evidente che la lotta al traffico illecito di sigarette e alla conseguente elusione fiscale potrebbe rappresentare una soluzione alle esigenze di gettito dello Stato più efficace, rispetto ad un inasprimento della tassazione sulle e-cig.

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