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Codice Ateco per le sigarette elettroniche: cui prodest?

Il Parlamento ha dato mandato all’Istat di istituirlo, trascurando di rilevare che non siamo in presenza di una sola e specifica attività economica, ma di una filiera che racchiude produttori, importatori, distributori, grossisti e dettaglianti.

Periodicamente torna alla ribalta, sulla stampa specializzata e nelle conversazioni tra i professionisti del settore, la questione della mancanza di codici Ateco specifici per il comparto economico della sigaretta elettronica. Il momento in cui massimamente tale mancanza è stata vissuta dagli operatori come un serio problema è stato probabilmente a seguito dell’emanazione, a marzo 2018, del decreto dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli con cui veniva stabilito, per i rivenditori, il “criterio di prevalenza” quale discriminante tra le aziende che potevano ottenere l’autorizzazione alla vendita dei liquidi da inalazione e quelle che, non essendo “prevalenti”, avrebbero dovuto abbandonare tale settore merceologico. Da allora, più volte e con forza, le aziende e le organizzazioni del settore hanno chiesto a gran voce l’istituzione di codici Ateco specifici per il settore della sigaretta elettronica. Tali richieste sono state infine accolte dal Parlamento nel dicembre del 2018, quando, in sede di conversione del Decreto Fiscale (D.L. 119 del 23 ottobre 2018), è stato inserito nel testo di legge il comma 11 dell’art. 25-decies, che impone all’Istat di provvedere “entro tre mesi dalla data di pubblicazione del presente decreto ad istituire il codice principale Ateco per il settore delle sigarette elettroniche e liquidi da inalazione, e relativi sottocodici”.
I tre mesi concessi dalla norma sono ormai ampiamente scaduti e ancora non sono stati istituiti né il codice Ateco principale, né i relativi sottocodici. In realtà, questo è un fenomeno fin troppo frequente nel panorama normativo italiano: sono innumerevoli le norme parlamentari che sono state applicate con grande ritardo – o sono addirittura tuttora disapplicate – per mancanza di un regolamento ministeriale o direttoriale. Apparentemente, la perdurante disapplicazione del citato Comma 11 sarebbe riconducibile alle resistenze opposte a tale innovazione da parte della Commissione europea: è infatti notizia recente (settembre 2019) che la Commissione non intende, al momento, modificare l’attuale classificazione delle attività economiche (Nace) vigente a livello comunitario. In verità, la posizione assunta dalla Commissione europea appare assolutamente comprensibile, alla luce dei meccanismi che regolano la classificazione delle attività economiche a livello comunitario e nazionale.
Già nel secondo dopoguerra, l’Onu, ancora nella sede provvisoria di Lake Success in attesa del completamento del noto Palazzo di vetro, riteneva imperativa la necessità di pervenire ad un coordinamento mondiale delle rilevazioni statistiche in materia economica, utile anche per favorire lo sviluppo del commercio internazionale, e pertanto emanò una prima classificazione delle attività economiche (Isic – International Standard Industrial Classification, anno 1949). Nel 1990 la Comunità europea aggiornò il proprio sistema di classificazione (Nace – Nomenclatura delle attività economiche della Comunità europea) per renderlo compatibile con il sistema Isic, ormai arrivato alla revisione 3. L’anno successivo anche l’Istat, a livello nazionale, modificò profondamente il proprio sistema statistico per adeguarlo alla Nace rev. 1, dando origine al sistema Ateco che conosciamo oggi. Attualmente, la classificazione Ateco 2007 in vigore è derivata dalla Nace rev. 2. Esiste quindi oggettivamente un legame indissolubile tra la classificazione italiana (Ateco) e quella europea (Nace); ma tale legame – è indispensabile sottolineare – non prevede un’esatta corrispondenza tra i due sistemi statistici. Il sistema europeo, esattamente come quello internazionale, fin dall’origine ha semplicemente definito una struttura di riferimento, un framework, all’interno del quale ciascun Paese europeo potesse operare in relativa libertà per realizzare un proprio sistema nazionale che rappresentasse correttamente il panorama economico locale, mantenendo una compatibilità a livello comunitario. Tecnicamente, ciò viene reso possibile dalla struttura a 4 cifre del Nace, che lascia spazio agli enti nazionali di aggiungere una quinta ed una sesta cifra, utili per fornire un livello di dettaglio maggiore e per meglio adeguare la codifica europea alle varie realtà nazionali.
Per esempio, il codice Nace 47.78 (Commercio al dettaglio di altri prodotti in esercizi specializzati) è ulteriormente suddiviso nel sistema Ateco in numerose categorie e sottocategorie, considerate rilevanti nell’economia italiana, come ad esempio il commercio al dettaglio di arredi sacri ed articoli religiosi (47.78.33), di articoli da regalo e per fumatori (47.78.34), di articoli funerari e cimiteriali (47.78.93); ed è presente anche un’ultima sottocategoria residuale, la 47.78.99, che include il commercio al dettaglio di ogni altro prodotto non alimentare non classificabile altrimenti. È del tutto evidente che, se l’Istat volesse istituire un codice Ateco specifico per il commercio al dettaglio di articoli per sigaretta elettronica, non solo potrebbe agevolmente inserire una nuova categoria nella sezione 47.78 – per esempio 47.78.7 “Commercio al dettaglio di articoli per sigarette elettroniche e vaporizzatori personali” – ma potrebbe ulteriormente distinguere le varie merceologie effettivamente vendute, come ad esempio: 47.78.71 per i dispositivi e ricambi, 47.78.72 per i liquidi da inalazione contenenti nicotina, 47.78.73 per i liquidi da inalazione non contenenti nicotina, 47.78.74 per aromi e basi da diluizione; 47.78.79 per ogni altro prodotto per sigaretta elettronica non classificabile altrimenti. E tutto ciò, è appena il caso di ricordare, sarebbe possibile senza dover rendere conto, né tanto meno dover chiedere autorizzazioni alla Commissione Europea, in quanto l’istituzione di tali nuovi codici Ateco sarebbe assolutamente compatibile con il sistema Nace già in vigore. Rimarrebbe da risolvere, peraltro, una questione di natura legislativa, che sarebbe senz’altro di portata trascurabile, se gli enti preposti fossero dotati di un buon senso di cui, però, finora non hanno mai dato grande prova.
Nella sua scarsa conoscenza dell’economia che ruota intorno alla sigaretta elettronica, il Parlamento ha dato mandato all’Istat di istituire “il codice principale Ateco” del comparto, trascurando evidentemente di rilevare che non siamo in presenza di una specifica attività economica, ma di una filiera, che racchiude produttori, importatori, distributori, grossisti e dettaglianti. Si tratta quindi di una pluralità di attività economiche così diverse tra loro da non poter essere mai definite, neanche nel più fantasioso sistema statistico di classificazione, con un singolo codice. La classificazione Ateco, come quella Nace, distingue in primo luogo le attività di produzione (sezione C, Attività manifatturiere) da quelle di distribuzione (sezione G, Commercio all’ingrosso e al dettaglio), e all’interno delle distinte sezioni opera un’ulteriore specificazione in base al tipo di prodotto trattato. Sarebbe pertanto necessario che l’Istat, interpretando con un minimo di elasticità la norma, istituisca almeno due codici principali, ciascuno poi distinto in sottocodici. Non resta che attendere per vedere quanto buon senso i dirigenti Istat utilizzeranno nell’eseguire il mandato conferito loro dal Parlamento. Nel frattempo, e senza certezza che la situazione venga infine risolta, il settore della sigaretta elettronica rimane privo di appositi codici Ateco.
Ma c’è da chiedersi: che utilità hanno i codici Ateco? Quale benefici si attendono gli operatori del settore dalla loro istituzione? Sembrerebbe infatti che le aspettative su questo punto siano alquanto eccessive. La funzione primaria dei codici Ateco è di natura statistica: sono utili nel rilevare, a posteriori, i valori economici che rappresentano uno specifico settore e a rappresentare tale settore all’interno del Bilancio dello Stato. Senz’altro è assolutamente rilevante, per gli operatori del settore, avere cifre statistiche significative; ma questa esigenza, che è primaria per gli operatori interessati, non sembra essere altrettanto prioritaria né per l’Istat, né per gli enti deputati a gestire i flussi statistici (Ragioneria generale dello Stato, enti previdenziali e assicurativi, ecc.). Talvolta si ipotizza che l’adozione di specifici codici Ateco potrebbe aiutare il legislatore a creare una normativa di settore più coerente e meno penalizzante; ma anche tale aspettativa è infondata, in quanto la normativa nazionale (per esempio relativa agli imballaggi, alle procedure Haccp, all’etichettatura dei prodotti, alle accise) non fa mai riferimento a specifici codici Ateco, ma semplicemente a classi di prodotti; né potrebbe essere altrimenti, in quanto i codici Ateco definiscono un’attività economica, e non già una tipologia di prodotto. Un prodotto pericoloso richiede un’etichettatura compatibile con il regolamento Clp a prescindere dal codice Ateco utilizzato dalle aziende per la sua produzione o commercializzazione. Solo la normativa fiscale e previdenziale, e solo in casi invero eccezionali, fa riferimento ai codici Ateco; per esempio, il sistema di tassazione forfettario (la cosiddetta “flat tax”) utilizza i codici Ateco per determinare la redditività fiscale dell’attività; e gli stessi codici determinano la categoria di rischio dell’impresa ai fini dell’assicurazione obbligatoria per i dipendenti. Ma anche sotto questi aspetti, non c’è ragione per distinguere, per esempio, il commercio al dettaglio di sigarette elettroniche da quello di articoli da regalo o oggettistica per la casa. Se, per ipotesi, al tempo dell’emanazione del provvedimento che istituiva il “criterio di prevalenza” fossero già esistiti i codici Ateco di riferimento, le aziende avrebbero ugualmente avuto gli stessi problemi a verificare la prevalenza, in quanto nessuna contabilità aziendale registra separatamente costi e ricavi distinti per codice Ateco. In verità, l’istituzione di appositi codici Ateco avrebbe oggi principalmente l’enorme effetto – psicologico, ma non per questo meno reale – di ottenere il riconoscimento da parte delle istituzioni che la filiera della sigaretta elettronica è un settore economico nuovo e dinamico, utile all’economia del Paese, unico nel suo genere e non assimilabile ad altri settori esistenti; un settore che richiede una normativa specifica, autonoma (soprattutto da quella inerente i prodotti del tabacco), che incentivi e non penalizzi le aziende e tenga conto non soltanto delle esigenze erariali, ma anche del diritto dei cittadini a tutelare la propria salute, anche facendo ricorso a strumenti di riduzione del danno da fumo.

(tratto da Sigmagazine #17 novembre-dicembre 2019)

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