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Sigarette elettroniche, l’esperienza insegna: non chiamatelo “filtro”

La Legge di bilancio inserisce sotto monopolio la distribuzione e la vendita esclusiva in tabaccheria delle cartine e dei filtri.

E come ogni anno, la Legge di bilancio può prevedere inghippi e sorprese anche per il mondo della sigaretta elettronica. Questa volta però la sorpresa non riguarda l’imposta di consumo o l’assoggettamento diretto all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli della rete vendita. Riguarda invece di riflesso una abitudine che sta diffondendosi nelle ultime settimane di immettere in commercio prodotti del vapore che “imitano” i riscaldatori di tabacco o che montano “veri filtri di sigaretta”. La terminologia è importante. Così come la locuzione “sigaretta elettronica” in passato è stata deleteria, si potrebbe pensare che oggi dire che un vaporizzatore utilizza un “vero filtro” di sigaretta può portare solo nocumento. La Legge di bilancio inserisce infatti sotto monopolio la distribuzione e la vendita esclusiva in tabaccheria delle cartine e dei filtri, prevedendo anche una tassazione di circa 50 centesimi a confezione da 100 unità. Potrebbe sembrare una questione di lana caprina, ma è sempre meglio evitarlo invece di doverlo affrontare a suon di battaglie legali per dimostrarne la liceità. Per restare cauti e non incorrere in brutte sorprese, sarebbe meglio utilizzare una terminologia appropriata al vaping. In questo caso, ad esempio, drip tip in cotone o drip tip morbido. O comunque qualsiasi parola che non richiami il vecchio concetto riconducibile al mondo del tabacco. Perché nel caso in cui anche “i veri filtri per sigaretta elettronica” dovessero rientrare nella nuova regolamentazione, significherebbe che oltre a pagare l’imposta potrebbero essere venduti nelle tabaccherie. Gli organi controllori competenti avranno gioco facile a sequestrare e sanzionare un eventuale negozio specializzato in sigarette elettroniche che, ad esempio, abbia in vetrina o sugli scaffali un “vero filtro di sigaretta”. L’esperienza insegna.

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