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La Tangentopoli del tabacco e quel misterioso velo di silenzio

Quello che è successo ieri è di una gravità disarmante. Non può e non deve passare inosservato, non può essere considerato un fatto isolato frutto di errori personali.

È un vero e proprio terremoto quello che sta accadendo in queste ore negli uffici di piazza Mastai a Roma, sede dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli. Tre alti funzionari (due di essi attualmente in pensione) tratti in arresto con l’accusa di avere stretto rapporti anche di corruzione con imprenditori e un manager della più importante multinazionale del tabacco: Philip Morris. Quest’ultima però ha smentito il fatto che l’uomo fosse un suo dipendente e che ricoprisse la carica di direttore affari istituzionali.
Seppure sarà soltanto il terzo grado di giudizio a stabilire se gli indagati sono colpevoli o innocenti, non si può non notare un velo di ipocrisia che invece circonda la notizia in queste ore. L’operazione della polizia in altri tempi avrebbe scosso l’opinione pubblica e politica del paese. Avrebbe occupato pagine e pagine di giornali per settimane. Se Il Fatto Quotidiano ha dato ampia risonanza ai fatti, pubblicando anche stralci delle intercettazioni e dei verbali, è invece assordante il silenzio della quasi totalità degli organi di informazione nazionale. E pensare che, mai come questa volta, il comunicato della questura non lasciava spazio a dubbi o criticità. Nomi, cognomi, dettagli, episodi circostanziati: c’erano tutti gli ingredienti per consegnare al giornalista una ricetta già bella e pronta. E invece nulla, il silenzio. Un articolo nelle pagine della cronaca di Roma per Il Corriere della Sera. Nulla su La Stampa. Scarsa evidenza anche su Il Messaggero e Il Tempo. Un pezzetto nella parte bassa del sito per Repubblica. Che ha anche omesso di citare uno degli arrestati: l’ex manager di Philip Morris, lasciando l’intera ribalta ai soli funzionari dell’agenzia delle Dogane e Monopoli. Ma che livello di informazione è questa? Quasi a voler selezionare di chi o cosa si possa o si debba scrivere e pubblicare.
Quello che è successo ieri è di una gravità disarmante. La Tangentopoli del tabacco non può e non deve passare inosservata, non può essere considerato un fatto isolato frutto di un errore personale. Il tabacco in Italia genera un giro di affari di centinaia di miliardi di euro; tredici dei quali vanno ad arricchire le casse dello Stato. Chi è destinato a far rispettare le regole non può e non deve gestire il portafoglio come se fosse proprietà privata. E di riflesso non può neppure considerare “amico” colui che invece dovrebbe essere controllato. Dalle intercettazioni pubblicate da Il Fatto risulterebbe che il dirigente preposto alla gestione delle accise sul tabacco, parlando al telefono con l’ex manager di Pmi, usasse un appellativo a dir poco fuori luogo nei confronti dei dipendenti di British American Tobacco: “battoni”. Ora, seppure il magistrato non lo pensi, noi diamo per scontato che i due stessero scherzando. Ma nell’ambito dell’esercizio delle proprie funzioni è quantomeno fuori luogo. E chissà allora cosa mai avranno detto – o pensato – di tutti coloro che per anni si sono prodigati nella battaglia a favore della riduzione del rischio da fumo. Ovvero tutti gli stakeholder della sigaretta elettronica che hanno dovuto attendere nove anni prima di vedersi riconosciuto un legittimo sconto fiscale. Sarà certamente un caso – perché anche qui sarà la magistratura probabilmente a chiarire – che l’abbassamento dell’imposta per i liquidi da inalazione sia coinciso anche con un analogo provvedimento per il tabacco riscaldato.
Non saranno certamente due intercettazioni e un mandato di cattura a farci cambiare idea sul concetto di garantismo. E mai sventoleremo vessilli manettari. Bisognerà aspettare probabilmente qualche anno, poi la giustizia dirà se qualcuno, e chi, ha fatto cosa. Occorre pazienza e fiducia. Quella stessa fiducia che adesso in piazza Mastai dovranno irrinunciabilmente ricostruire. Agli occhi dei cittadini, agli occhi delle aziende, agli occhi della politica. Di certo non agli occhi dei tanti, troppi, media che da ieri li stanno tenendo (forse) volutamente chiusi.

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