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Australia, sigarette a 50 dollari? Retorica e faciloneria da copia-incolla

Non bisogna fermarsi agli slogan, la realtà è ben diversa. E dice ben altro rispetto a quanto sta rimbalzando sui media.

Sta rimbalzando su tutti i media la notizia del governo australiano che ha portato il prezzo del pacchetto di sigarette a 50 dollari. Titoli a caratteri cubitali, condivisioni social, apprezzamenti a go-go per quella che viene considerata la massima espressione della lotta al fumo: tassare un prodotto per disincentivarne la diffusione e l’utilizzo.
Ma al di là della retorica e della faciloneria del copia-incolla, se si va a fondo e si leggono i dati reali si scopre che c’è ben poco da esultare.
Prima di tutto, analizziamo il prezzo. Cinquanta dollari australiani equivalgono a circa 25 euro. Quindi, l’effetto “wow” è già dimezzato. Bisogna poi aggiungere che i pacchetti contengono 25 sigarette e non tutti costano allo stesso modo: si oscilla da un minimo di 28 ad un massimo, appunto di 50 dollari australiani. Ne consegue che si può dunque acquistare un pacchetto di sigarette anche con “soli” 16 euro. Prima dell’aumento, il prezzo medio era di 14 euro a pacchetto. Ed infatti, il tasso della maggiorazione voluta dal governo è del 12,5%. Come se in Italia si passasse dai canonici 5 euro a 5,6 euro a pacchetto. Un aumento ampiamente tollerabile.
Anche se agli occhi di un italiano quelle australiane possono sembrare cifre importanti, occorre esaminare e contrapporre le due realtà economiche. Secondo il report della banca mondiale, l’Italia è al nono posto della classifica del reddito pro capite nell’ambito del G20. Non è così per l’Australia dove, sempre secondo lo stesso report, il cittadino medio guadagna annualmente il triplo di un italiano, ponendo l’isola oceanica al terzo posto tra i Venti Grandi. Non bisogna poi dimenticare che, mentre in Italia il cuneo fiscale (l’incidenza delle tasse sul reddito) è di circa il 51%, in Australia supera di poco il 25%. Meno tasse, più soldi in tasca, maggiore potere d’acquisto.
Accantonato l’aspetto prezzo, che dunque deve sempre essere ponderato alla realtà e all’economia di riferimento, occorre dare una sguardo agli effetti che gli aumenti degli ultimi anni hanno prodotto.
E qui entra in scena il contrabbando. In un solo mese l’Australian Border Force ha sequestrato 20 milioni di sigarette e quasi 12 tonnellate di tabacco illegale. Quantità che equivale a circa 14,2 milioni di dollari di mancate accise. Le sigarette di contrabbando vengono vendute direttamente dai negozianti prendendole sottobanco, su esplicita richiesta dei fumatori. Il rischio vale la candela, si direbbe. Ma non solo. Allo stesso tempo il consumo di tabacco trinciato è passato dal
26% nel 2006 al 36% nel 2016; i fumatori under 40 sono aumentati dell’82%. Il numero totale di fumatori non scende da quattro anni. Non è servito neppure introdurre il pacchetto neutro e le immagini shock che occupano tutto il pacchetto.
Una politica antifumo lungimirante deve prima di tutto fare prevenzione, investire in comunicazione istituzionale e in informazione. Deve aprire le coscienze dei fumatori ma soprattutto intervenire sin dalle prime classi scolastiche per diffondere le criticità di un tale vizio. Occorre però anche consentire al fumatore di poter accedere a strumenti in grado di accompagnarlo verso la cessazione nella maniera più “indolore” possibile. Il fumatore non si considera un paziente da curare sino a quando non viene colpito da qualche patologia fumo-correlata. Prima di allora il fumatore non è consapevole che si sta lentamente avvelenando. Occorre dunque che anche la classe medica conosca e sappia la materia di cui sta parlando. Non per slogan ma per esperienza e conoscenza. Semplice è chiedere di aumentare il prezzo delle sigarette, più impegnativo è formarsi costantemente, restare al passo con le opportunità e le potenzialità offerte anche dal mercato. Che non deve essere necessariamene quello farmaceutico.

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