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Sigarette elettroniche e elezioni: quando la piazza crea opinione

La democrazia vive di anticorpi. Uno di questi è fatto dai vaper. Così uno studio del think tank American for Tax Reform ha allarmato l'entourage del presidente Trump: vietare gli aromi potrebbe costare la rielezione alla Casa Bianca.

In India sono scesi in piazza in quattrocento. Protestavano contro la “Prohibition of e-cigarettes ordinance”, il decreto del governo che bandisce produzione, importazione ed esportazione, immagazzinamento, vendita e pubblicizzazione delle si- garette elettroniche. Un po’ pochi per smuovere le acque e costringere il premier Narendra Modi a fare marcia indietro. La giustificazione che molti non si sono presentati per paura delle ritorsioni della polizia getta cattiva luce sullo stato della democrazia indiana ma non cambia i termini della questione.
In Paesi con tradizioni democratiche più consolidate, al contrario, la mobilitazione funziona. Un esempio è venuto proprio dall’Italia, quando le proteste del novembre 2017 contro le politiche penalizzanti nei confronti del settore del vaping dell’allora governo Gentiloni, pur non determinando nell’immediato la bocciatura dell’emendamento incriminato, crearono le basi per la nascita di un movimento di opinione e di lobbying, che in capo a un anno trovò interlocutori politici e parlamentari. Quando i numeri e le motivazioni cominciano a diventare importanti, l’azione si trasforma da movimentismo di piazza a forza elettorale, capace di incidere sugli equilibri politici del Paese e di intervenire laddove prende forma il processo di formazione di strategie e leggi.
È il caso degli Stati Uniti d’America, alle prese in questi mesi con un’offensiva mediatica senza precedenti nei confronti del vaping, che non ha esitato a strumentalizzare vicende penose come quelle delle malattie polmonari (decessi compresi) per inventare un’inesistente emergenza e spingere pavide autorità pubbliche a rincorrersi nell’adozione di divieti uno più grottesco dell’altro. La psicosi ha preso talmente la mano, che il presidente Donald Trump si è sentito in obbligo di dedicare al tema uno dei suoi proverbiali tweet, annunciando misure restrittive a livello federale nei confronti dei liquidi aromatizzati. La democrazia vive però di anticorpi e crea al suo interno gli enzimi necessari a combattere le tossine. Uno di questi è l’opinione pubblica, che è fatta anche di consumatori. Così uno studio del think tank Americans for Tax Reform (Atr), che fin dalla sua nascita si occupa principalmente di difendere i cittadini dalle tasse troppo elevate e dalle eccessive ingerenze dello Stato nell’economia, ha allarmato l’entourage del presidente: l’introduzione del divieto di vendita di liquidi aromatizzati potrebbe costare a Donald Trump la rielezione alla Casa Bianca il prossimo anno. Lo studio si basa su un sondaggio condotto dallo stesso pensatoio washingtoniano nel 2016, nel momento in cui Barack Obama aveva annunciato una road-map che, se condotta a termine, avrebbe di fatto portato al bando delle sigarette elettroniche. Quel sondaggio rivelava che quattro svapatori adulti su cinque dichiaravano di esprimere le proprie intenzioni di voto a seconda della posizione assunta dal candidato in materia di tassazione e regolamentazione della sigaretta elettronica. E già allora, il presidente del think tank Grover Norquist sosteneva che il peso della comunità dei vaper (a quei tempi costituita da 10 milioni di utilizzatori in co- stante e rapida crescita) rappresentava quello che si definisce un single-issue voting group, cioè una comunità appassionata che decide a chi dare il voto in base a un’unica questione: in questo caso le politiche sullo svapo.
Paul Blair, che è il direttore delle iniziative strategiche del think tank, ha ripreso i dati di quel sondaggio proiettandoli sui dodici Stati chiave, i cosiddetti swing states o battle-ground states, collegi nei quali nessuno dei candidati dei due partiti principali ha un sostegno talmente predominante da aver il successo assicurato. Sono questi gli Stati in cui si gioca ogni elezione americana, in un testa a testa che ha sempre decretato vittorie e sconfitte in tante recenti competizioni. Si tratta di Florida, Pennsylvania, Ohio, Michigan, North Carolina, Wisconsin, Georgia, Minnesota, New Hampshire, Maine, Arizona e Nevada. Gli esperti dell’Atr hanno rilevato che, se l’affluenza alle urne nel 2020 si man- terrà stabile rispetto al 2016, ci saranno circa 2,55 milioni di vaper-elettori sparsi sui 12 Stati chiave della competizione. Cifra che va considerata addirittura per difetto, dal momento che negli ultimi anni il numero di vaper adulti è aumentato. È un numero di elettori sufficiente a ribaltare i risultati elettorali in tutti gli Stati chiave. “Se Trump vuole deprimere l’affluenza degli elettori o allontanarli dal suo messaggio in Stati in cui il margine di vittoria potrebbe essere di poche migliaia di voti, vietare le sigarette elettroniche alla nicotina e i liquidi aromatizzati sarebbe un ottimo modo per farlo”, ha sintetizzato Blair. Qualche giorno dopo la pubblicazione dello studio, un gruppo di fondazioni di area repubblicana ha lanciato un appello pubblico a Donald Trump chiedendogli di proteggere gli svapatori dal divieto di liquidi aromatizzati, sottolineando quanto proprio quel tipo di liquidi sia il più apprezzato da chi tenta di smettere di fumare. Potere del numero e anche della capacità di fare sistema per difendere diritti e interessi.

(articolo tratto da Sigmagazine #17 novembre-dicembre 2019)

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