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Liquidi per sigarette elettroniche: il Codice Pli in etichetta è obbligatorio?

Ad oggi non si rinviene una normativa, né di rango primario, né di rango secondario, che imponga la apposizione del Codice PLI sul prodotto oggetto di commercializzazione. La normativa vigente richiede infatti la “semplice” intervenuta attribuzione di detto codice, ma non obbliga alla sua “ostensione” nei confronti del pubblico mediante la trascrizione sul bene.

Come ben noto a tutti gli operatori del settore, l’art. 4 del D.M. 29.12.2014 prevede che la commercializzazione dei prodotti liquidi da inalazione sia subordinata alla preventiva comunicazione all’Amministrazione delle Dogane e dei Monopoli di determinate informazioni sul prodotto, idonee ad indentificarlo univocamente.
A tale comunicazione, nella prassi amministrativa, fa seguito l’assegnazione di un codice prodotto univoco da parte di AAMS, denominato Codice PLI, la cui assegnazione (e successiva pubblicazione sul sito AAMS) “certifica” nei confronti del mercato che un determinato prodotto è stato autorizzato all’immissione in commercio.
I negozianti, come da previsione del Decreto Direttoriale AAMS del 16/23 marzo 2018, sono tenuti ad acquistare prodotti liquidi da inalazione solo ed esclusivamente da depositi fiscali autorizzati (o da soggetti esteri che abbiano rappresentati fiscali deputati al pagamento, in Italia, dell’imposta di consumo) che abbiano previamente richiesto – ed ottenuto – in relazione al prodotto oggetto di commercializzazione il predetto codice PLI. Ad oggi, nel mercato si levano voci in merito alla necessità di indicare tale Codice nelle etichette o nei foglietti illustrativi che accompagnano il prodotto. In più occasioni, infatti, i militari della Guardia di finanza che hanno operato controlli presso gli esercenti, hanno chiesto se esistesse e ove fosse contenuta tale indicazione, contestandone di fatto la mancanza.
Ebbene, è il caso di sgomberare ogni dubbio. Ad oggi non si rinviene una normativa, né di rango primario, né di rango secondario, che imponga la apposizione del Codice PLI sul prodotto oggetto di commercializzazione. La normativa vigente richiede infatti la “semplice” intervenuta attribuzione di detto codice, ma non obbliga alla sua “ostensione” nei confronti del pubblico mediante la trascrizione sul bene. Evidentemente, il codice PLI ha, nell’ottica del legislatore e dell’amministrazione, una duplice funzione: da un lato, quella di acclarare la legittimità della commercializzazione del Prodotto (AAMS effettua infatti, propedeuticamente al rilascio del Codice, le più opportune verifiche in tema di presupposti normativi per l’immissione in commercio: così, ad es., verifica la regolarità delle notifiche UE, ecc.); dall’altro, quello di consentire un rapido controllo fiscale sulle dichiarazioni quindicinali inviate dai depositi fiscali (e dai rappresentanti fiscali) all’amministrazione ai fini del pagamento delle imposte. In buona sostanza, il codice PLI porta in sé una “piccola e riassuntiva” storia del prodotto, accessibile a tutti attraverso il sito dell’amministrazione.
In ragione di ciò, se da un lato non è necessario preoccuparsi della circostanza dell’indicazione del codice sul prodotto, dall’altro è estremamente importante verificarne l’esistenza per tutti i soggetti dediti al commercio di settore: si tratta di una regola elementare di garanzia per i negozianti, che scherma da eventuali responsabilità connesse alle “irregolarità” della merce venduta. In proposito, infatti, merita di essere segnalata un’attuale prassi dell’amministrazione (che lo scrivente non condivide) la quale tende a considerare il prodotto privo di PLI quale prodotto “di contrabbando”, giacché non formalmente autorizzato alla commercializzazione. In altre parole, l’amministrazione ragiona per sillogismi: se il prodotto non ha PLI, è un prodotto non regolare; come tale, è un prodotto che non ha scontato imposta e del quale – non essendovi una “storia” ufficiale – non si conosce la provenienza. Si tratta, dunque, di un prodotto che ben potrebbe provenire dall’estero (dal di fuori dell’Unione Europea) e in relazione al quale l’importatore (che potrebbe essere lo stesso negoziante che lo detiene) non ha assolto gli oneri fiscali. Un prodotto, per l’appunto, di contrabbando.
Attenti al PLI dunque. Ma senza allarmismi. Se, infatti, la prassi testé evidenziata è preoccupante, è pur vero che si fonda su assunti che non appaiono completamente fondati e che possono essere ribaltati in punto di fatto (e di diritto). La mancanza di PLI – come a tutti noto – non è infatti indice di mancata possibilità di “tracciamento” della provenienza di un prodotto; e ciò, soprattutto quanto tale prodotto è acquistato da depositi fiscali autorizzati, con regolare fattura e bolla di scarico. Al contempo, l’assenza di PLI non è circostanza che certifica il mancato pagamento dell’imposta di consumo. Come spesso accaduto, infatti, il ritardo di AAMS nell’attribuzione dei codici ha spesso “costretto” (anche se tale comportamento non può dirsi in linea con le norme vigenti) operatori di settore a commercializzare prodotti ancora in attesa di attribuzione di codice, pur assoggettandoli alla vigente imposta di consumo.

(articolo tratto da Sigmagazine #18 gennaio-febbraio 2020)

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