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L’emergenza infinita delle aziende italiane della sigaretta elettronica

Mentre le merci cominciano a scarseggiare, i consumatori diminuiscono. Il rischio è scelgano di tornare al fumo, con conseguente ulteriore danno per la salute pubblica.

Il comparto della sigaretta elettronica e dei liquidi da inalazione non conosce tregua. Dopo gli anni in cui ha convissuto con la maxi tassa, dopo il tentato assalto da parte delle organizzazioni sanitarie, dopo la psicosi derivante da Evali, ecco che arriva covid-19 a paralizzarne l’economia. Certo, questa volta l’emergenza è globale, non riguarda una nicchia produttiva. Ma proprio per questo può essere ancora più devastante. Nonostante il governo abbia inserito le rivendite di sigarette elettroniche tra i fornitori di beni di prima necessità, sono molti coloro i quali in questi due mesi lamentano incassi al limite della sopravvivenza. La scelta di mantenere alzata la serranda è stata più che altro dettata dalla necessità, garantirsi cioè il minimo indispensabile per far andare avanti la baracca: affitto, elettricità, spese vive. Le limitazioni personali spesso rendono difficile raggiungere il negozio di sigarette elettroniche. Non tutti possono averlo sotto casa, non stiamo parlando di realtà come Roma, Napoli o Milano. In Italia ci sono circa 8 mila comuni. Se si pensa che i negozi autorizzati alla vendita di liquidi da inalazione sono meno di 2.500, i conti sono presto fatti. Chi tenta il trasferimento per acquistare un liquido per sigarette elettroniche rischia di essere sanzionato. Non perché lo preveda la legge ma perché, spesso, le forze dell’ordine non sono a conoscenza della possibilità concessa in deroga al decreto d’emergenza. E così succede che a Verona una ragazza venga multata perché stava recandosi, all’interno dello stesso comune, in un negozio di sigarette elettroniche. Multa, poi, cancellata con tanto di scuse. O che un negoziante campano abbia dovuto tenere la saracinesca abbassata per giorni e giorni, finché il comandante dei locali vigili urbani non si è convinto che potesse restare aperto.
Quelli che, forse, se la passano meno peggio in questo periodo sono gli shop online. Soprattutto se in possesso di autorizzazione alla gestione di deposito fiscale perché possono vendere ai privati anche i liquidi con nicotina.
Rischiamo seriamente la chiusura – dice un imprenditore del settore che vuol mantenere l’anonimato – I miei negozi hanno perso circa il 72 per cento del fatturato dall’inizio dell’anno. A questo, però, deve aggiungersi il passivo già registrato negli ultimi sei mesi dello scorso anno in seguito al massacro mediatico partito dagli Stati Uniti. Potrei anche chiudere due o tre negozi e in questo modo razionalizzare le spese. Ma non è questo il problema. Il problema è che dovrei lasciare a casa almeno cinque persone. E sono tutti ragazzi che hanno messo su famiglia da poco, facendo leva sulla certezza di poter avere uno stipendio regolare”.
Ma purtroppo le previsioni non sono rosee. L’ufficio parlamentare di bilancio prefigura una crisi senza precedenti, “un calo dell’attività economica di intensità eccezionale, mai registrato nella storia della Repubblica”. Nel trimestre scorso il Pil si è complessivamente ridotto di circa cinque punti percentuali, mentre il trimestre corrente “sconta maggiormente gli effetti del blocco, in quanto inizia su livelli molto bassi e risente di un pesante trascinamento statistico. Nell’ipotesi che le restrizioni vengano allentate in misura molto graduale a partire da maggio si prefigura una contrazione congiunturale del Pil del secondo trimestre dell’ordine di ulteriori dieci punti percentuali”. Ovvero, restando ottimisti, meno 15 per cento in sei mesi.
Intanto le merci cominciano a scarseggiare. Lo sanno bene i distributori e grossisti di accessori per sigarette elettroniche che cominciano ad avere difficoltà a reperire il materiale di più largo consumo tra cui le resistenze di ricambio. Seppure la produzione cinese sia in fase di ripresa, gli ordinativi riprendono al rallentatore, così come le consegne. D’altronde, sono i consumatori la vera “materia prima” di un mercato. Mancando loro, manca la richiesta. E se manca la richiesta anche l’offerta tende ad arrestarsi. Lo dimostra anche la mancanza di novità, sia a livello di batterie che di liquidi pronti. Scenario inconsueto per un settore che è stato sempre caratterizzato da un insolito dinamismo produttivo. A volte perfino eccessivo.
Nessuno è in grado di dire se e come ci sarà la ripresa; quanto impiegheranno le aziende a ritornare saldamente in attivo. Si sta navigando a vista e, probabilmente, occorrerà farlo ancora per lungo tempo. Anche il Ministro della salute Speranza lo ha ribadito: “La crisi non è superata. Abbiamo bisogno di investire ancora, con tutte le energie che abbiamo, nel nostro sistema sanitario nazionale. Lo abbiamo detto prima dell’emergenza coronavirus e ora dobbiamo continuare a metterlo al centro, perché è uno strumento fondamentale nella vita di ogni cittadino“. E allora, sommessamente e sottovoce, chiediamo: perché non far rientrare anche le sigarette elettroniche, per antonomasia strumenti che riducono i danni del fumo, tra i prodotti sostenuti dalla sanità pubblica? Basterebbe anche solo una campagna di comunicazione istituzionale e un messaggio diretto ai fumatori: se non riuscite a smettere, l’alternativa esiste. Un investimento a bassissimo costo che potrebbe far risparmiare alla sanità pubblica non meno di 2 miliardi di euro. Cifra destinabile poi al potenziamento delle strutture e degli operatori sanitari. Fanta-scienza? Forse. Ma intanto ipotesi alternative non esistono e nessuno pare voglia trovarne.

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