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La comunicazione arriva con tutti i crismi dell’ufficialità e cioè attraverso un comunicato stampa firmato dall’Institut de France Académie des sciences, dall’Assistance Publique Hôpitaux de Paris (Aphp, il più grande centro universitario ospedaliero d’Europa) e dall’Università della Sorbona. Un gruppo di ricercatori provenienti da questi istituti e dall’Istituto Pasteur – spiegano – hanno formulato l’ipotesi che la nicotina abbia un ruolo protettivo nella propagazione e nella fisiopatologia della malattia covid-19. Per questo i ricercatori condurranno uno studio clinico, con la benedizione del Ministro per la salute Olivier Veran, somministrando cerotti alla nicotina ai pazienti e ne misureranno l’effetto.
La notizia è già piombata come un elefante nella cristalleria della comunità scientifica, legittimamente preoccupata che le affermazioni dei ricercatori francesi possano in qualche modo minimizzare i pericoli del fumo e dissuadere le persone dalla cessazione. Ma le ipotesi dei ricercatori nascono da uno studio trasversale su 482 pazienti degli Hôpitaux de Paris, che vi abbiamo raccontato qualche giorno fa. Secondo questi dati, fra i pazienti di covid-19 il numero dei fumatori è basso e questo, scrivono gli autori, “suggerisce fortemente che i fumatori quotidiani hanno una probabilità molto più bassa di sviluppare una infezione da sars-cov-2 sintomatica o grave, rispetto alla popolazione generale”.
Per trovare una spiegazione a questo dato, il team di ricerca, formato dal pofessore Zahir Amoura, Felix Rey e Makoto Miyara, si è avvalso della collaborazione del professor Jean-Pierre Changeaux, neurobiologo di fama mondiale dell’Istituto Pasteur. “È dimostrato – spiega il professore francese in un articolo pubblicato ieri su Queios – che i β-coronavirus, dei quali fa parte il sars-cov-2, non limitano la loro presenza al tratto respiratorio e spesso invadono il sistema nervoso centrale”. L’ipotesi è che “il virus entri nel corpo attraverso i neuroni del sistema olfattivo e/o attraverso i polmoni, portando a diverse caratteristiche cliniche con diversi esiti”. Una ipotesi corroborata dal fatto che spesso i pazienti affetti da covid-19 perdono il senso dell’olfatto o presentano sintomi neurologici come mal di testa, nausea e vomito. Il ruolo protettivo della nicotina, semplificando al massimo, sarebbe quello – spiega Changeaux – “di fissarsi sul recettore cellulare utilizzato anche dal coronavirus, impedendogli di fissarsi e bloccando la sua penetrazione delle cellule e la sua propagazione nell’organismo”.
Le ipotesi francesi stanno causando una sollevazione fra gli esperti. Sentito da Sigmagazine, Fabio Beatrice, otorinolaringoiatra e direttore del centro antifumo dell’ospedale S. G. Bosco di Torino, si dichiara perplesso. “Prima di tutto – dice – sul tasso dei fumatori tra i covid. Come è stata formulata la domanda? nella pratica sei io chiedo ad uno se fuma non basta. Spessissimo capitano fumatori che hanno smesso da venti giorni ed alla richiesta: lei fuma? rispondono sempre no. Dovrebbe sempre seguire al no una seconda domanda: ha mai fumato nel passato e se si quanti anni e quante sigarette al giorno?. Poi – continua Beatrice – bisognerebbe avere più informazioni sullo stato generale di salute. Quasi sempre i casi gravi presentano una o due patologie: cardiopatici e altro e sono in massima parte fumatori. Insomma mi sembra debole l’assunto teorico”.
Soprattutto, Beatrice tiene a sottolineare la differenza fra nicotina e combustione: “C’è molta confusione, come capita sempre, tra nicotina e combustione. Qui si parla solo di nicotina al netto della combustione. I polmoni vengono danneggiati dalla combustione non dalla nicotina”. Il pericolo, conclude, è quello di “accreditare che fumare tabacco combusto non fa poi così male”. Dimenticando che il fumo ogni giorno fa molti più morti del coronavirus.