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Covid-19, un nuovo studio Farsalinos e Niaura torna sul ruolo della nicotina

Il primo lavoro peer-reviewed sul tema propone una sperimentazione della nicotina come opzione terapeutica contro il coronavirus.

Si ritorna a parlare di nicotina e covid-19 grazie a uno studio appena pubblicato su Internal ad Emergency Medicine, la rivista della Società italiana di medicina interna pubblicata da Springer. Si tratta di una revisione sistematica della prevalenza dei fumatori fra i pazienti ospedalizzati in Cina per covid-19 e pone una domanda importante. “La nicotina – si legge nel titolo dello studio – potrebbe essere una opzione terapeutica?”. Gli autori sono Konstantinos Farsalinos e Anastasia Barbouni della Univesrità dell’Attica occidentale e Raymond Niaura della New York University. I tre scienziati sono stati i primi a rilevare come il numero dei fumatori fosse insolitamente basso fra i malati cinesi di covid-19, con uno studio pubblicato alla fine di marzo su Qeios e intitolato “Smoking, vaping and hospitalization for covid-19”.
Questo nuovo lavoro, “Systematic review of the prevalence of current smoking among hospitalized COVID-19 patients in China: could nicotine be a therapeutic option?”, include maggiori analisi e, soprattutto, è il primo studio su nicotina e covid-19 ad essere stato sottoposto al processo di peer reviewing. Gli autori hanno esaminato la letteratura scientifica disponibile in materia aggiornata al 1° aprile scorso, identificando 12 studi che esaminavano le caratteristiche cliniche dei pazienti ricoverati per il coronavirus in Cina, riportando dati sull’abitudine al fumo, per un totale di 5960 pazienti. In base a questi studi, il tasso dei fumatori variava dall’1,4 al 12,6 %; un valore piuttosto basso se paragonato al tasso dei fumatori nel Paese che è del 26, 6 % in totale, ma raggiunge il 50,5 % fra gli uomini e il 2,1 fra le donne, in base ai dati del Global adult tobacco survey del 2018.
Farsalinos e gli altri autori hanno aggiunto una seconda analisi, classificando come fumatori anche tutti quei pazienti che erano stati registrati come ex fumatori. In questo caso si raggiunge fra i ricoverati una percentuale di fumatori del 7,3 %. Lo studio riconosce alcuni limiti. Per esempio non c’è certezza dell’accuratezza della rilevazione del dato sul fumo ed è anche possibili che alcune persone siano giunte in ospedale in condizioni talmente critiche da non essere in grado di comunicare. Così come il fatto che i lavori analizzati riguardino solo i malati ospedalizzati, mentre non si sa nulla di chi ha contratto la malattia in maniera meno grave. Ma, aggiungono “è difficile spiegare con la mancanza di dati la grande differenza fra la prevalenza dei fumatori fra i pazienti e quella generale”. Anche perché, nel frattempo dati simili sono emersi anche in altri Paesi, come la Francia e gli Stati Uniti.
In conclusione – scrivono gli autori – fra i pazienti affetti da covid-19 in Cina si osserva una prevalenza di fumatori inaspettatamente bassa, pari a circa un quarto del tasso dei fumatori nella popolazione generale. Sebbene il consiglio di smettere di fumare come misura per ridurre i rischi per la salute rimanga valido, questi risultati, insieme ai ben noti effetti immunomodulatori della nicotina, suggeriscono che la nicotina farmaceutica dovrebbe essere presa in considerazione come potenziale opzione terapeutica per covid-19”.
Naturalmente, si sottolinea nello studio, non si sta raccomandando di fumare per ridurre il rischio di covid-19. “Il ben noto elevato rischio di cancro, malattie cardiovascolari e respiratorie legate al fumo, non lo rende una misura protettiva appropriata e sostenibile”. Gli autori chiedono invece che siano “indagati gli effetti clinici della nicotina farmaceutica sulla suscettibilità, la progressione e la gravità del covid-19”, utilizzando prodotti a base di nicotina già approvati, come i cerotti, oppure i nebulizzatori e altri sistemi di aerosol, anche per evitare problemi di astinenza nei fumatori e nei consumatori di nicotina ospedalizzati. Questa sperimentazione, naturalmente, non dovrebbe escludere le altre terapie. Il lavoro di Farsalinos, Barbouni e Niaura si conclude ricordando che ad oggi non sono stati pubblicati studi che registrino l’uso della sigaretta elettronica o dello snus fra i malati di covid-19.

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