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La Corte di Giustizia riavvolge il nastro: immunità illegittima, Kessler torna a giudizio

Nella sentenza della scorsa settimana collegata allo "scandalo Dalli", l'alto tribunale si è schierato dalla parte della Commissione europea: l'immunità non è concessa a tutela della persona ma dell’istituzione.

Rimane ancora senza una sentenza definitiva il caso nato da una presunta corruzione in seno alle più alte cariche dell’Unione europea. La Corte di Giustizia dell’Unione ha infatti deciso di rimandare al tribunale di grado inferiore la revisione del processo che esamina fatti che avrebbero coinvolto, tra gli altri, un alto funzionario della Commissione europea (definito agli atti con le iniziali RQ), l’ex commissario John Dalli e l’ex direttore dell’ufficio antifrode dell’Ue Giovanni Kessler. La decisione segna però un punto a favore dell’accusa: la corte inferiore ha commesso un errore nella sua decisione di schierarsi con Kessler, la cui immunità era stata revocata dalla Commissione europea in seguito all’accusa belga di aver dato il consenso a effettuare, in data 3 luglio 2012, “una chiamata telefonica utilizzando, con l’accordo e in presenza di RQ, un telefono portatile nei locali dell’Olaf. Detta conversazione telefonica è stata registrata dall’Olaf e riportata nella sua relazione finale dell’indagine“.
La disputa riguarda un complicato scandalo politico che nel 2012 coinvolse un’azienda svedese del tabacco, il proprietario di un circo maltese che stava per intraprendere la carriera politica e presunte tangenti per milioni di euro. Quando lo scandalo diventò di dominio pubblico, l’allora commissario alla salute, il maltese Dalli, fu costretto alle dimissioni.

John Dalli

L’indagine prese avvio da una segnalazione della società Swedish Match, secondo cui un imprenditore maltese avrebbe cercato vantaggi dalla società, offrendo in cambio la possibilità di influenzare le scelte legislative europee tramite i suoi contatti personali con Dalli. A quell’epoca si stava scrivendo la Direttiva europea sui tabacchi (Tpd)  con l’intenzione di confermare il divieto di vendita dello snus sul territorio dell’Unione (come è poi avvenuto), cosa sgradita alla società svedese. L’indagine dell’Olaf – che all’epoca era presieduto dall’italiano Kessler – concluse che Dalli fosse al corrente della vicenda, anche se l’imprenditore non ottenne vantaggi dalla società svedese. Dalli ha sempre respinto le accuse. L’allora commissario era finito al centro di una vicenda mai completamente chiarita di presunta corruzione. Secondo un rapporto presentato da Olaf, l’Ufficio anti-frode europeo, Dalli avrebbe tenuto all’oscuro gli uffici competenti della sua partecipazione a diverse riunioni non ufficiali con i rappresentanti dell’industria del tabacco proprio nei giorni in cui si stava elaborando la direttiva sull’argomento. L’Olaf aveva sostenuto che con il suo comportamento il commissario aveva compromesso la reputazione dell’intero esecutivo comunitario davanti ai produttori di tabacco e all’opinione pubblica.
A seguito di un’indagine dell’ufficio antifrode dell’Ue, venne alla luce che un socio di Dalli, Silvio Zammit, proprietario di un circo, avrebbe richiesto 60 milioni di euro all’azienda Swedish Match, un produttore di snus, per revocare il divieto di commercializzare il prodotto dall’UE, divieto che è tuttora operativo così come disposto dalla direttiva europea sui tabacchi.

Una udienza della Corte di Giustizia europea

Ma perché nella faccenda sarebbe coinvolto anche il futuro direttore dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli, Giovanni Kessler? Secondo le ricostruzioni, l’allora direttore generale dell’Olaf, avrebbe presumibilmente ascoltato una conversazione telefonica in vivavoce di un testimone dell’inchiesta, che aveva contattato un altro testimone. Secondo le autorità belghe, il “suggerimento” di registrare una telefonata dato dal direttore dell’Olaf a un testimone del caso Dalli rientra in una fattispecie perseguibile dalla legge, poiché in Belgio tale pratica è vietata anche se poi le informazioni non vengono utilizzate nelle indagini. Il Belgio ne venne a conoscenza in seguito ad azioni legali intentate da Dalli. A tutti i funzionari dell’Ue è concessa l’immunità legale dall’azione penale. Nel 2014, il Belgio, dove si trovano gli uffici dell’Olaf, chiese all’Ue di revocare l’immunità a Kessler per poter indagare, ma la richiesta venne respinta per due volte. Ma alla terza richiesta la commissione decise di revocare l’immunità. Il Tribunale europeo diede ragione a Kessler ma la Commissione europea fece appello.
La decisione della Corte di giustizia europea ha rilevato che il Tribunale avrebbe commesso un errore decidendo di dare ragione all’ex capo dell’ufficio antifrode dell’Unione europea, Giovanni Kessler. Nella sentenza della scorsa settimana, l’alto tribunale si è schierato dunque dalla parte della Commissione europea, dichiarando che il diritto all’immunità non è concesso a tutela della persona coinvolta (in questo caso Kessler) ma  dell’istituzione europea. Kessler rimase in carica ancora per qualche anno, sino al 2017 quando accettò la nomina a direttore di Aams su proposta dell’allora presidente del consiglio Gentiloni. In dodici mesi riuscì a ristrutturare l’agenzia ma, nonostante questo, nel 2018 l’attuale premier Conte lo sostituì con Benedetto Mineo.
Il processo a Kessler va dunque avanti. Se da un lato è legittimo che le autorità belghe si ostinino a perseguire un presunto reato commesso sul loro territorio, è anche vero che Kessler si è adoperato per smascherare un tentativo di truffa e tangenti che vedeva coinvolte le massime autorità europee in materia di salute pubblica. La contestazione riguarda perciò l’eventuale metodo utilizzato nelle indagini, non certamente la finalità dell’azione in sè che ha consentito di scoprire   la rete di tangenti e malaffare.

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