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“Bisogna intensificare gli sforzi per informare il pubblico sui benefici della sigaretta elettronica, spiegando che ha già aiutato migliaia di persone a ridurre il consumo di tabacco”. A perorare la causa del vaping in un intervento sul sito Conservative Home è Steve Brine, ex viceministro alla salute britannico con competenza sulla prevenzione e la salute pubblica. Brine ha ricoperto la carica dal giugno del 2017 a fine marzo del 2019, quando si è dimesso per divergenze con il governo sulla Brexit. Dal 2010 è parlamentare eletto nel collegio di Winchester e non ha smesso di interessarsi alla salute dei cittadini in generale e dei fumatori in particolare.
Brine ricorda che nel Libro Verde pubblicato dal Ministero della salute ormai quasi un anno fa, il governo si pone l’obiettivo di raggiungere un’Inghilterra senza fumo entro il 2030. “Dodici mesi dopo – scrive Brine – non conosciamo ancora abbastanza dettagli di questo piano e vi sono fondate preoccupazioni che il Paese possa mancare il bersaglio”. Ma l’ex viceministro una ricetta ce l’ha ed è quella di puntare sulla riduzione del danno e di collaborare attivamente con l’industria della sigaretta elettronica. “Che – spiega – con il suo giro di affari diretto e indiretto di un miliardo di sterline, può essere un importante partner per aiutare il governo a raggiungere l’obiettivo e superare lo stallo delle cessazioni del fumo”.
Il politico rivendica quanto fatto durante il suo mandato, con “l’elaborazione di un piano per adottare la strategia di riduzione del danno, volto a massimizzare la cessazione del fumo fra gli adulti, minimizzando l’iniziazione fra i minori”. Una politica, continua, fondata sulle ricerche di Public Health England, che stimano che il vaping è del 95 % meno dannoso del fumo, e su una sperimentazione clinica condotta dalla Queen Mary University di Londra, che dimostra come, per smettere di fumare, le sigarette elettroniche siano quasi due volte più efficaci delle altre terapie sostitutive a base di nicotina.
“Nel Regno Unito – scrive l’ex viceministro – legislatori e esperti di salute hanno già riconosciuto che il vaping può giocare un ruolo cruciale per ridurre il tasso dei fumatori, offrendo loro uno strumento efficace per la cessazione”, dove “non c’è combustione, fumo o catrame come nei tradizionali prodotti del tabacco”. Eppure, continua, la fiducia del pubblico in questi strumenti è diminuita a causa della recente copertura negativa dei media e di notizie infondate, provenienti soprattutto dagli Stati Uniti.
Ma per guadagnare la fiducia dei fumatori, Steve Brine fa una proposta che potrebbe non risultare gradita né ai consumatori, né proprio a quell’industria che invoca come alleata. La ricetta del parlamentare sarebbe quella di “regolamentare i prodotti senza nicotina destinati al vaping (nello specifico gli shortfill e quelli per il fai-da-te), che attualmente non ricadono sotto la Tpd, come i prodotti contenenti nicotina”. Secondo Brine, questo potrebbe “rassicurare i consumatori e rafforzare la leadership mondiale del Regno Unito nella normazione dei prodotti del vaping, aiutando il governo a raggiungere i suoi obiettivi di salute pubblica”.
“Mentre il Paese si prepara ad affrontare un periodo di sconvolgimenti sociali senza precedenti – conclude Brine – è necessario compiere tutti gli sforzi per garantire che i tassi di fumo non aumentino di nuovo”. Non si può non essere d’accordo. Ma siamo sicuri che quella di assoggettare gli aromi alla stessa normativa prevista per prodotti con nicotina sia la strada giusta?Non bisognerebbe innanzi tutto sforzarsi di far conoscere al pubblico le normative e i controlli previsti dalla Tpd, che già tutelano gli utilizzatori? Da uno studio pubblicato qualche settimana fa e condotto proprio nel Regno Unito, è emerso infatti che quasi il 30 % degli intervistati non era a conoscenza della Tpd e molti consumatori chiedevano regole già previste dalla direttiva e già osservate dai produttori. Forse basterebbe farglielo sapere.