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“La riduzione del danno da fumo non è una trovata di marketing inventata dall’industria, ma affonda le sue origini nell’Organizzazione mondiale di sanità”. Questa, nelle parole del moderatore Sudhanshu Patwardhan, la chiosa all’incontro di oggi del webinar dedicato ai 15 anni della Convenzione quadro del controllo del tabacco dell’Oms (l’Fctc). A discuterne, oltre al medico angloindiano Patwardhan, il presidente della Foundation for a Smoke-Free World Derek Yach, il professor Jed Rose della Duke Univesity, l’avvocato Patricia Kovacevic e il professore Riccardo Polosa, fondatore del CoEhar (Centro di eccellenza per la riduzione del danno) dell’Università di Catania.
L’evento era stato pensato in vista della nona Conferenza delle parti dell’Fctc, che si sarebbe dovuta tenere in questi giorni in Olanda. Il Cop 9 è stato poi rimandato a causa della pandemia covid 19, ma l’occasione è rimasta per fare il punto sull’istituzione, a quindici anni dalla sua creazione. Particolare attenzione è stata posta alla riduzione del danno da fumo, che compare nei principi fondativi della Convenzione, come testimoniato da Yach che ne fu uno degli architetti quando lavorava per l’Oms. Eppure oggi la Thr è fortemente osteggiata dall’Organizzazione, almeno per quanto riguarda i nuovi strumenti, come le sigarette elettroniche.
In base a una revisione della letteratura scientifica firmata dallo stesso Yach allo scopo di fornire un contributo ai lavori del Cop 9, gli strumenti di riduzione del danno da fumo potrebbero addiritturadare la spinta decisiva alla lotta contro il fumo. Secondo i trend stimati nel suo lavoro, fra il 2020 e il 2060 le morti fumo correlate passerebbero da 8 a 6,5 milioni, mantenendo lo status quo, cioè le politiche di fumo tradizionali. Affiancandole, invece alle strategie di riduzione del danno da tabacco, le morti si ridurrebbero fino ad arrivare a 3,5 milioni.
Critico anche il professore Riccardo Polosa, secondo cui “l’Fctc ha fallito sulla cessazione”. I motivi di questo fallimento sono due, sempre secondo il professore catanese. Il primo è che ci si basa molto sui medicinali per smettere di fumare. “Ma i fumatori – spiega – non si sentono pazienti, né malati da medicalizzare”. Il secondo è che non si è capita la psicologia dei fumatori. “Lavorare con loro – racconta il docente catanese – è difficile e frustrante, perché i fumatori vogliono evitare i rischi ma amano fumare”. Ed è per questo, continua, che “sono così entusiasti della sigaretta elettronica”, perché la considerano una forma pulita di nicotina, che permette loro di conservare i riti e la gestualità del fumo senza averne i rischi. Polosa giudica positivo anche il fatto che le alternative a rischio ridotto siano particolarmente popolare nella fascia di età fra i 25 e i 40 anni, cioè quando è ancora possibile riparare ai danni fatti dal fumo.
Tesi, queste, che bisognerà cercare di rappresentare con forza in sede Oms. In questa ottica, i dodici mesi in più regalati dalla posticipazione del Cop 9 possono rappresentare un’opportunità. “Dobbiamo usare questo anno in più – commenta Yach – per triplicare i nostri sforzi, concentrandoci sugli studi e sulla ricerca e offrendo soluzioni pratiche, per esempio su come regolamentare i prodotti in maniera proporzionale al rischio, e con una particolare attenzione ai Paesi a basso e medio reddito”. “Non possiamo abbandonare i fumatori – conclude Polosa – La lotta contro il fumo è dura ma è la nostra missione. E oggi, con tutte le alternative che abbiamo a disposizione, possiamo farcela”.