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“Con la sigaretta elettronica sono andato in gol anche contro il fumo”

Dario Hübner è stato tra i protagonisti del calcio professionistico nonostante una particolare abitudine: la sigaretta sempre in bocca, anche nello spogliatoio. Un vizio abbandonato dopo aver scoperto l'e-cig.

Si rivede in Belotti e nella sua “fame di arrivare”. Ha sempre tifato Inter, contro cui però segnò al debutto in serie A. Nessun rimpianto ma un solo grande rammarico: non aver indossato la maglia della nazionale azzurra. “Eppure i gol li ho sempre fatti, sono stato capocannoniere in serie A. Una opportunità è stata data a moltissimi, anche calciatori di serie B. Non mi spiego perché nessun commissario tecnico mi abbia mai chiamato”.
Dario Hübner (“con i due puntini sulla u, mi raccomando”) è il simbolo del calcio di una volta, quello in cui la sostanza contava molto più dell’apparenza, i gol più dei like e le presenze più dei follower. Unico – e visti i risultati, trascurabile – particolare: fumava. Fumava in ritiro, fumava alla fine del primo tempo, fumava in stanza. Insomma, la sigaretta era una sua appendice. E lo è stata sino a due anni fa, quando ha scoperto la sigaretta elettronica. Tatanka era il soprannome di bomber Hübner. Rispecchia il carattere indomito, la forza fisica, la progressione con cui affrontava gli ultimi trenta metri del campo di calcio. Tatanka è il bisonte così come battezzato dai nativi americani. Una forza della natura. Nonostante questo, ha dovuto aspettare i 30 anni per calcare il palcoscenico maggiore, la serie A, e far capire alle difese avversarie che si può vincere la classifica dei marcatori anche vestendo la maglia di una cosiddetta “provinciale”. Fisicità e dedizione al lavoro hanno consentito a Hübner di vincere il titolo di capocannoniere in tutte e tre le massime divisioni calcistiche: in serie A con il Piacenza, in serie B con il Cesena, in serie C1 con il Fano. ha da poco dato alle stampe la sua biografia (Mi chiamavano Tatanka) dove descrive la sua carriera, sempre accompagnata dalla sigaretta.

Perché una biografia?
Per una circostanza fortuita. L’idea venne a un amico giornalista che mi propose, con il suo aiuto, di mettere nero su bianco i miei ricordi. Inizialmente ero perplesso perché non ho mai amato rilasciare interviste e parlare del mio privato. Ho voluto provare e mi sono reso conto che, più passava il tempo, più parlavo, più emergevano situazioni e ricordi che erano stati dimenticati.

Il filo conduttore è la carriera del calciatore Dario Hübner. Però ci sono due elementi che ciclicamente vengono inseriti nel racconto. Il primo è la famiglia, sia da figlio che da marito e padre, esperienza iniziata a 23 anni, giovanissimo.
Sino agli anni Novanta avere una famiglia e diventare padre a quell’età era una cosa normale per un calciatore. I bimbi era meglio farli subito. Ora mia figlia ha 30 anni e mio figlio 23. Io ne ho 53, età che mi permette di capire ancora il mondo e vedere come evolve. Riesco a capire cosa chiedono e cosa vogliono i miei figli. E, soprattutto, quello che succede là fuori, nella vita di tutti i giorni. Essere papà da giovani non è semplice ma con il passare del tempo ci si rende conto che è una esperienza che fa crescere insieme i genitori con i figli.

Il secondo elemento citato spesso è la sigaretta. Perché ha ritenuto doverne dare così evidenza?
Perché era un vizio che mi sono portato dietro per quarant’anni. Noi adolescenti vedevamo fumare i grandi e, per emularli, prendevamo il vizio. Per la verità, ho sempre considerato il fumo come momento di svago e relax. Tra il primo e il secondo tempo delle partite, dopo il discorso del mister che solitamente durava cinque-otto minuti, mi alzavo e andavo nelle docce a fumare. Facevo qualche tiro e rientravo in campo. Quella situazione serviva per ricaricarmi ma rappresentava anche un gesto scaramantico. Lo sapevano tutti e mi lasciavano fare. Ho cominciato a fumare a 14 anni e ho smesso un paio di anni fa grazie alla sigaretta elettronica.

Luigi Corioni, l’allora presidente del Brescia, disse di lei: “Senza sigarette e grappa, Dario Hübner sarebbe il più forte di tutti”. Si è mai domandato se il fumo abbia limitato le sue prestazioni sportive?
No, perché in tutti gli anni di professionismo non ho mai sentito la fatica. Al limite dopo gli allenamenti sentivo dolori muscolari ma non ho mai avuto problemi di fiato. Certamente i miei polmoni hanno subìto danni ma non ho mai avuto limitazioni per questo mio vizietto.

Tempo fa venne data ribalta ad un fatto che – si dice – l’avrebbe vista protagonista durante una tournée negli Stati Uniti con il Milan. Il suo passaggio ai rossoneri sarebbe svanito dopo che Ancellotti venne a sapere che aveva fumato nello spogliatoio. Lei però ha sempre smentito questo episodio.
Le posso dire che sia quando giocavo nel Brescia che nel Cesena lo facevo. Ma nello spogliatoio del Milan, oltretutto durante il periodo di prova che poteva rappresentare un bel salto di carriera, non lo avrei mai fatto. E non l’ho mai fatto. L’episodio venne citato dopo circa dieci anni da un organo di stampa che, proprio per questo, dovetti denunciare. Ancora oggi leggo qualcuno che scrive specialmente sui social che non mi presero al Milan in seguito all’episodio della sigaretta: purtroppo ogni volta mi tocca denunciarli. È una falsità.

Una volta si diceva che allo stadio tutto era permesso. Adesso sembra che siano i social i luoghi in cui sfogare tutte le pulsioni.
Il mondo è cambiato così come il calcio è cambiato. Un tempo i procuratori guardavano le prestazioni, giudicavano l’applicazione e la serietà di un giovane calciatore. Ora guardano i follower, lo seguono sui social e lo giudicano a seconda della visibilità. Perché per molte società conta più l’immagine che dai rispetto a quanti gol segni o quanti assist fai. Con l’avvento dei social network e di internet purtroppo anche il calcio è cambiato.

Dopo quarant’anni di fumo, quale è stata la molla che ha fatto scattare il desiderio di provare la sigaretta elettronica?
Curiosamente il contrario di quello che mi accadeva quando giocavo a calcio. Mi sono ritrovato a cinquant’anni a essere a corto di fiato dopo una partita di tennis. Le gambe reggevano ma mancava il respiro. Addirittura facevo fatica a trasportare due casse d’acqua dalla cantina perché dovevo fare una rampa di scale. A quel punto ho voluto provare la sigaretta elettronica. Ne sentivo parlare, ho cercato informazioni su internet e mi sono convinto a provarla. Da quel giorno non l’ho più lasciata. Mi sono trovato bene. Ovviamente la sensazione che si ha non è come quella del fumo tradizionale. Ma dopo un primo periodo di adattamento, adesso mi sono abituato. Oltretutto non si sente più puzza di fumo attorno a me, perfino la macchina è sempre pulita senza tutta quella cenere.

Tra i tanti gol che ha segnato, si può dire che c’è anche quello contro il fumo?
Sì, certo. Ho fatto questa scelta e sono molto contento di averla fatta.

Molti suoi colleghi fumano?
Abbastanza. Tanti fumavano soltanto durante i ritiri. Le mogli non sapevano che fumavano e quindi a casa non potevano farlo. Al contrario di me che ho fumato sempre e ovunque. Su venti compagni di squadra credo che mediamente quindici fumavano di nascosto. Per me è sempre stata una cosa normale. La prima cosa che facevo finito l’allenamento o la partita era accendere la sigaretta. Non dovevo nascondermi. L’ho sempre fatto alla luce del sole.

Ricorda la prima volta che entrò in un tabaccaio?
Sì, lo ricordo bene. Non fu per comprare le sigarette ma per comprare le figurine. All’epoca si compravano dal tabaccaio. Erano di cartone e bisognava appiccicarle nell’album con la colla e il pennellino. Alla fine avevi un album pesantissimo dall’odore caratteristico di colla.

Avrebbe mai pensato che un giorno anche lei sarebbe stato protagonista di una figurina?
Sono entrato nell’album per la prima volta nel 1990. Giocavo nel Fano, neopromossa in serie C1. C’era la figurina di tutta la squadra. Io ero il secondo in piedi da sinistra, accanto al portiere. Arrivato in serie B ebbi la mia prima figurina a mezzobusto. Fu nel 1992 e la condividevo con il difensore Gian Battista Scugugia. Dovetti aspettare i 30 anni, arrivato in serie A, per avere una figurina tutta mia. È stata una emozione fortissima, quasi un riconoscimento del lavoro svolto e il raggiungimento di un traguardo.

Tra calciatori vi scambiavate le figurine doppie?
(sorride) Ai miei tempi chi aveva la tessera dell’Associazione Italiana Calciatori riceveva ogni anno l’album con le figurine da attaccare per completarlo. Proprio tutte le figurine senza neppure una doppia. Diciamo che era un privilegio per noi che poi in fondo eravamo i protagonisti della collezione.

Il sogno di ogni bambino…
Sì, devo dire che mi divertivo ad attaccarle anche da grande. Ma soprattutto ero orgoglioso di farne parte.

(tratto da Sigmagazine #22 settembre-ottobre 2020;
fotografie delle figurine dell’album Panini pubblicate per gentile concessione dell’Editore
)

 

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