L'attualità quotidiana sulla sigaretta elettronica

I riscaldatori di tabacco non sono sigarette elettroniche

La vicenda portata alla luce dal Riformista riguarda i riscaldatori di tabacco. Non deve essere il settore dell'e-cig a pagare le conseguenze di una guerra tra Big.

È stata soprannominata “Cinquestellopoli” la vicenda portata alla luce ieri dal quotidiano il Riformista e che oggi ritorna sulle principali testate. Si tratterebbe di una consulenza che la multinazionale del tabacco Philip Morris avrebbe stipulato con Casaleggio Associati per un importo totale di 2 milioni e 379 mila euro. La notizia, in realtà, non è nuova, ma nuovo è il collegamento proposto dal quotidiano. Brutalizzando al massimo, in cambio di quella consulenza – sostiene il Riformista – l’azienda avrebbe ricevuto un cospicuo sconto fiscale sui riscaldatori di tabacco, il più diffuso dei quali è prodotto proprio da Philip Morris.

Fotografia Polizia di Stato – Questura di Roma

Oggi il giornale ritorna sul tema con un lungo e dettagliato articolo a firma di Nicola Biondo, che ripercorre le fasi di una guerra che i nostri lettori hanno potuto seguire dalle colonne di Sigmagazine. Dall’operazione Cassandra, che ha portato alla luce presunti legami particolari fra gli allora vertici delle Dogane e Monopoli e un presunto consulente di Philip Morris Italia, ai vari emendamenti parlamentari per alzare la tassazione del tabacco riscaldato, tutti falliti. Fino alla legge di bilancio attualmente in discussione che, come sapete, in bozza conteneva un innalzamento della fiscalità sul tabacco riscaldato, sparito poi dal testo bollinato dalla ragioneria dello Stato e approdato in Parlamento.
Sarà naturalmente l’opinione pubblica a valutare la credibilità delle tesi proposte dal Riformista e dovrà essere la magistratura ad occuparsi di eventuali illeciti. Ma c’è un grosso problema. Non emerge con sufficiente chiarezza la differenza fra riscaldatore di tabacco e sigaretta elettronica, che è abissale. Abissale per tipologia (l’e-cigarette vaporizza un liquido; il riscaldatore, appunto, riscalda ad alte temperature sigarettine di tabacco), per composizione, per riduzione del danno (come dimostrato recentemente dal francese Istituto Pasteur) e anche per imposizione fiscale. Contenendo tabacco, le sigarettine per i riscaldatori sono sottoposte ad accisa con un prezzo di vendita fisso dichiarato dal produttore e distribuite solo in tabaccheria. I liquidi per e-cigarette, invece, sottostanno a una imposta di consumo, il prezzo è libero, la vendita consentita anche nei negozi su strada e negli e-shop autorizzati.
Il riscaldatore di tabacco non è una sigaretta elettronica e, soprattutto, Philip Morris in Italia non commercializza sigarette elettroniche, tantomeno liquidi da inalazione. Il suo prodotto, Iqos, non è una sigaretta elettronica, è appunto un riscaldatore di tabacco. Il mercato dei prodotti del vaping in Italia è fatto di piccole e medie imprese che danno lavoro a molte persone; di negozianti specializzati autorizzati dall’Agenzia dogane e monopoli che ogni mattina tirano su la saracinesca del loro punto vendita; di consumatori che si sono liberati o vogliono liberarsi dalla schiavitù del fumo. E se è vero che alcune multinazionali del tabacco negli ultimi anni hanno lanciato sul mercato le loro e-cigarette (ma non Philip Morris), è altrettanto vero che si tratta di prodotti marginali per il loro giro d’affari e con una diffusione limitata.
È tutt’altro che una questione di lana caprina, perché stanno già arrivando notizie di emendamenti alla legge di bilancio, che intendono aumentare il prelievo fiscale “sulle sigarette elettroniche”, senza fare alcuna differenza fra i prodotti. È necessario più che mai che i legislatori, ma anche i comunicatori, prima di mettere mano a una materia, si informino sugli strumenti e su chi li produce. Per evitare che, ancora una volta, un settore produttivo sia travolto dall’onda dei giochi politici e della guerra fra giganti, pagando per vicende che non lo coinvolgono, per una semplice semplificazione linguistica. Anche perché a pagare un prezzo troppo alto, ancora una volta, non sarebbero solo produttori e negozianti, ma tutti i fumatori che hanno smesso o vogliono smettere di fumare grazie alla sigaretta elettronica.

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