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A poche ore dalla votazione della Legge di Bilancio, una inaspettata novità ha colto di sorpresa l’intera filiera della sigaretta elettronica: il governo molto verosimilmente raddoppierà l’imposta di consumo sui liquidi senza nicotina e aumenterà del 50% quella sui liquidi con nicotina. In sostanza la tassa arriverebbe rispettivamente a 1 euro e 1,50 euro ogni 10 millilitri. E questo solo per il 2021. Perché poi, sia nel 2022 che nel 2023 l’imposta sarà aumentata di un ulteriore 5%. Secondo le stime, dunque, fra tre anni l’imposta su un liquido di ricarica con nicotina sarebbe gravato di circa 2,60 euro mentre quelli senza nicotina si fermerebbero a poco più di 2 euro.
“Quello che sta accadendo in Parlamento è una distorsione molto grave – commenta con amarezza Umberto Roccatti, presidente dell’associazione produttori Anafe-Confindustria – perché a causa di una guerra commerciale tra multinazionali del tabacco si vuole toccare anche il vaping, settore fatto da piccole e medie imprese, molte delle quali anche a conduzione familiare, che rischierebbero di dover chiudere da un giorno all’altro”.
Che ruolo sta giocando Anafe in questa partita?
“Sin da ottobre, all’alba della legge di bilancio, siamo stati parte attiva. Più volte siamo riusciti a parare vari assalti. Adesso stiamo sottolineando a quella parte della maggioranza che ci sostiene l’assurdità di toccare la fiscalità dello svapo, quando fra sei mesi arriverà l’armonizzazione fiscale europea. Questo costringerà nuovamente le aziende a rivedere i piani economici e di investimento, se di investimenti si potrà ancora parlare. Da come si sta comportando, temo quasi che al Ministero dell’economia non siano informati che fra sei mesi arriverà l’accisa unica europea”.
Cosa è cambiato in due anni, da quando cioè il primo governo Conte abbassò l’imposta sui liquidi?
“È cambiato il governo, appunto. Nonostante ci sia una parte comune, è evidente che al suo interno è diviso tra chi comprende le ragioni della sigaretta elettronica e chi invece non le capisce o fa finta di non capirle”.
Da emendamento parlamentare su tabacco riscaldato a emendamento governativo sulle sigarette elettroniche. Qualcosa deve essere successo per cambiare radicalmente la struttura del provvedimento.
“Si è aggravata la guerra tra le multinazionali, come ho detto prima, assumendo toni e contorni gravi e senza possibilità di essere ricuciti. Siamo consapevoli che una parte della politica ha compreso le ragioni di Anafe a difesa e tutela delle piccole realtà imprenditoriali. Purtroppo una certa componente del governo sta facendo un gioco solitario, che esula dal mandato politico del parlamento”.
Quale schema alternativo proporrebbe?
“In termini assoluti e nel Paese delle meraviglie chiederei un incentivo al governo, così come lo dà alle auto elettriche meno inquinanti. Rimanendo con i piedi per terra, mi limiterei a suggerire di non cambiare nulla nello schema fiscale attuale, perché il mercato si è assestato e, come dicevo, perché fra sei mesi interverrà l’Europa a cambiare di nuove le regole del gioco“.
Altro aspetto singolare è che per la prima volta non vengono toccate le accise del tabacco tradizionale ma soltanto quelle degli strumenti a rischio ridotto.
“Più che singolare io direi che è scandaloso. Una scelta che non trova supporto scientifico e neppure reale. Credo che la tassazione debba essere parametrata sia al fattore di rischio, sia all’impatto economico e occupazionale dell’intera filiera”.
Se oggi un flacone di liquido con nicotina costa 5 euro, dopo l’eventuale riforma quanto costerebbe?
“Non essendoci prezzi imposti è difficile da dire, non si può quantificare una cifra esatta. Certamente ci sarà un incremento rilevante che il mercato potrà assorbire con difficoltà. Sarà, dunque, la rete produttiva e distributiva a doversene fare carico nonostante sia già piegata dalla crisi economica contingente“.
In chiusura vuol fare un appello?
“Chiedo ragionevolezza. Chiedo che prima di tutto il governo pensi ai posti di lavoro delle piccole e medie aziende che costituiscono il vero tessuto economico italiano. E non ci tiri dentro le scorribande tra le multinazionali con le quali, lo ripeto, noi non abbiamo nulla a che fare e a che vedere. Non possiamo e non vogliamo pagare per le guerre altrui: ne va del nostro lavoro e del futuro di migliaia di lavoratori. Oltre che, naturalmente, della salute di tanti ex fumatori e fumatori che non riescono o non vogliono smettere di fumare“.