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Sigarette elettroniche, l’Oms raccomanda di vietare i sistemi aperti

Il suggerimento è contenuto nelle conclusioni del gruppo di studio sulla regolamentazione dei prodotti del tabacco.

L’Organizzazione mondiale di sanità torna ad occuparsi di sigarette elettroniche e lo fa ancora una volta suggerendo restrizioni. Questa volta l’Oms prende di mira i sistemi aperti, cioè quei device ricaricabili e personalizzabili che hanno decretato gran parte del successo dello strumento fra i fumatori, consentendo loro di ridurre il danno, passando dal fumo combusto al vaping. L’attacco è contenuto in un rapporto dell’Executive Board dell’organizzazione, pubblicato il 23 dicembre scorso, che dà conto degli incontri delle commissioni di esperti e dei gruppi di lavoro tenutisi nel secondo semestre del 2020 su diverse materie. Tra questi vi è il decimo incontro del gruppo di studio sulla regolamentazione dei prodotti del tabacco dello scorso ottobre.
Il rapporto si occupa dei cosiddetti prodotti di nuova generazione, in particolare di riscaldatori di tabacco, come richiesto nell’ultima Conferenza delle parti della Convenzione quadro per il controllo del tabacco, tenutasi a Ginevra nel 2018. In sostanza il gruppo di studio raccomanda che i prodotti a tabacco riscaldato (compresi i dispositivi) siano soggetti alle norme più restrittive previste dai singoli Paesi e che sia vietato ai produttori affermare che riducano il danno, paragonarli ad altri prodotti o descriverli come utili per smettere di fumare.
Ma gli esperti dell’Oms si sono occupati anche di sigarette elettroniche con o senza nicotina, i cosiddetti Ends o Ennds. Nelle raccomandazioni ai legislatori, il gruppo di lavoro esorta a “vietare i sistemi elettronici di somministrazione di nicotina e i sistemi elettronici senza nicotina, che consentano all’utilizzatore di controllare le caratteristiche del dispositivo e gli ingredienti dei liquidi (cioè i sistemi aperti)”. Fra i suggerimenti anche quello di vietare gli Ends che possano causare maggiore dipendenza delle sigarette tradizionali (per esempio limitando il tasso di emissione o il flusso di nicotina), e di proibire l’aggiunta di sostanze farmacologicamente attive (ove legali) diverse dalla nicotina, come cannabis e tetraidrocannabinolo.
Insomma, un invito a vietare i sistemi aperti, che sono di gran lunga lo strumento preferito dagli ex fumatori passati al vaping, proprio perché permettono di adeguare le modalità di utilizzo alle proprie necessità. E non sono nemmeno responsabili di “gravi incidenti” come i casi di malattie polmonari registrati negli Usa nel 2019, che erano dovuti all’acetato di vitamina E aggiunto a liquidi con Thc, commercializzati illegalmente in cartucce precaricate.
La raccomandazione risulta poco comprensibile anche dal punto di vista della protezione dei minori, tema sempre sbandierato dagli oppositori dell’e-cigarette. Per mesi le istituzioni sanitarie in generale e quelle americane in particolare hanno sostenuto che sono proprio i sistemi chiusi ad aver diffuso il vaping fra i giovani, tanto che una legge federale in Usa vieta gli aromi diversi da tabacco e mentolo nelle e-cigarette a pod. C’è, infine, un’ultima notazione da fare: il mercato dei sistemi aperti e dei liquidi è alimentato quasi esclusivamente da piccole e medie aziende indipendenti, mentre i sistemi chiusi sono di gran lunga quelli preferiti dalle multinazionali del tabacco. Perché dunque prendersela con i sistemi aperti?

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