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Salute, Anafe: ignorato il potenziale della sigaretta elettronica nel piano europeo anticancro

Il presidente Roccatti: “Esposti milioni di consumatori a malattie fumo-correlate. Pericoloso equiparare le e-cig al tabacco”

Pur accogliendo con favore lo European Beating Cancer Plan, presentato dalla Commissione Europea come strumento per ridurre significativamente il numero di morti per cancro, l’associazione confindustriale dei produttori di fumo elettronico (Anafe) denuncia come, all’interno del pilastro della prevenzione, sia non solo del tutto assente il principio del “rischio ridotto”, che garantisce un’alternativa a migliaia di fumatori che non riescono ad abbandonare la sigaretta, ma vi sia invece una pericolosa equiparazione tra sigaretta elettronica e fumo tradizionale. Tale impostazione, secondo l’associazione, non tiene conto della differenza sostanziale di rischio, scientificamente provato come ridotto almeno del 95% proponendo da un lato le medesime restrizioni amministrative e fiscali per i due prodotti, dall’altro la sfiducia del consumatore nei confronti di strumenti invece sicuri, in grado di ridurre drasticamente il danno da fumo. Per questo motivo, sostiene Anafe, l’incentivo al fumo elettronico, potrebbe costituire un’ottima opportunità per ridurre significativamente il numero di fumatori, nonché le spese mediche correlate alla disassuefazione.
“Un’occasione persa – commenta Umberto Roccatti, presidente di Anafe Confindustria – per aiutare tutti coloro che ogni anno rischiano di contrarre malattie legate al fumo. È con rammarico che notiamo come il piano europeo anti cancro non abbia attuato un approccio basato sui fatti scientifici nei confronti di questa dipendenza, anzi al contrario abbia messo sullo stesso piano, ideologicamente, fumo tradizionale e prodotti a rischio ridotto. La Commissione Europea non può chiudere gli occhi di fronte a uno strumento che in molti Paesi ha già dimostrato grande successo ed è stato inserito nelle linee guida nazionali di lotta al tabagismo, come in Francia, Nuova Zelanda, Canada e Gran Bretagna, dove la politica sanitaria ha ridotto drasticamente la percentuale dei fumatori in pochi anni passando dal 24% nel 2012 fino ad arrivare al 14% nel 2019. Chi ha iniziato ad utilizzare la sigaretta elettronica in un mercato altamente regolamentato come quello italiano ed europeo, lo ha fatto prima di tutto perché ha deciso di smettere di fumare o perlomeno di ridurre l’uso del tabacco tradizionale. Inoltre, in tema di aromi, che il piano europeo contro il cancro vorrebbe vietare, è stato già ampiamente dimostrato come proprio la loro presenza – secondo uno studio dell’Università di Memphis – sia fondamentale nel processo di cessazione del tabacco e siano un elemento strategico di disassuefazione. In Italia, i dati Doxa diffusi dall’Istituto superiore di sanità in occasione della Giornata Mondiale Senza Tabacco, ci indicano la crescente percentuale di persone che hanno smesso di fumare grazie all’utilizzo di sigarette elettroniche, che, grazie alla gestualità della sigaretta tradizionale ma prive di tutte le sostanze cancerogene in essa presenti, risulta 5 volte più efficace di cerotti e altri medicinali. Oltre l’80% dei fumatori non riesce o non vuole smettere di fumare, e per essi non esiste un piano da parte delle istituzioni sanitarie: siamo quindi stupiti di come la Commissione non voglia incentivarne l’uso, considerate le percentuali di successo nettamente superiori rispetto a farmaci o altre terapie. Dopo tutte le evidenze scientifiche – conclude Roccatti – non solo è grave considerare la sigaretta elettronica marginale nella lotta al fumo e continuare così ad esporre milioni di fumatori al rischio di cancro, ma ancor più assurdo che siano paragonate al fumo tradizionale, che causa quasi 1/3 dei casi di cancro in Europa”.

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