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Recentemente la Commissione Europea ha lanciato una consultazione pubblica per coinvolgere maggiormente tutta la popolazione nella lotta al cancro, malattia che, come ha affermato la Presidente Ursula Von Der Leyen, tocca praticamente tutti. Il 40% della popolazione della Ue è infatti interessata direttamente dal cancro con importanti ripercussioni sui sistemi sanitari nazionali e sull’economia. I tumori però possono essere in buona parte prevenuti ma è un tema sul quale non si fa mai abbastanza. Stella Kyriakides, Commissaria per la salute e la sicurezza alimentare, ha affermato che i cittadini europei si aspettano una azione risoluta e che un piano europeo di lotta al cancro, per avere successo, necessita di un pieno coinvolgimento della gente. Questo desiderio di ascolto è una novità ma necessita di essere concretamente attuato e non vi è dubbio che, se una consultazione pubblica viene realizzata bene, ha il grande vantaggio di raccogliere le sensibilità della gente rendendo più vicine le proposte dei tecnici. Entro il 2035 il numero dei casi di tumore potrebbe raddoppiare ed il cancro diventerebbe la principale causa di morte della Ue. La questione dunque è una vera emergenza, poiché attualmente i morti per cancro in Europa sono circa 1,3 milioni all’anno ed in Italia oltre 180mila. Secondo l’Airc (Associazione italiana per la ricerca sul cancro) esistono dodici regole per ridurre il rischio della malattia tumorale e al primo e secondo posto figurano le questioni legate al tabagismo: non fumare, rendere case e luoghi di lavoro liberi dal fumo. Combattere il tabagismo è prioritario nella prevenzione del cancro ma il fumo di tabacco costituisce un rischio anche per altre malattie come l’infarto, l’ictus, il diabete e altro.
Purtroppo la lotta al fumo di sigaretta incontra difficoltà in tutto il mondo a causa di interessi economici confliggenti ma soprattutto perché il fumo di tabacco è una dipendenza provocata dalla nicotina. L’effetto mortale del fumo di tabacco è in massima parte dovuto ai prodotti della combustione. La nicotina, sostanza vasoattiva che crea dipendenza, non ha un ruolo diretto nella formazione di un cancro. Accendendo una sigaretta si sprigionano 70 cancerogeni certi ed alcune migliaia di sostanze fortemente irritanti: così il fumatore, per assimilare la nicotina che è la mediatrice del piacere del fumo, finisce con inalare anche molte altre sostanze che minano la salute di quasi tutti i vari organi ed apparati. L’obiettivo fondamentale per un fumatore è smettere ma nella pratica la cosa non è semplice. Le strategie di cessazione si avvalgono di linee guida nazionali ed internazionali che integrano tutte le proposte dotate del requisito dell’efficacia e trovano consenso universale tra gli esperti. Singolare è che il farmaco più utilizzato al mondo per sostenere la cessazione e mitigare l’astinenza sia proprio la nicotina in forma di cerotto, pastiglia o inalatore. Ciò nonostante gran parte dei fumatori o non riesce a smettere o non vuole smettere. Le percentuali di insuccesso superano in gran parte le cessazioni perfino nei soggetti che pervengono nei centri antifumo e che si attengono ad una scrupolosa osservazione delle indicazioni delle linee guida.
In Italia sono censiti dall’Istituto superiore di sanità 292 centri antifumo (Caf) nel 2020 e di questi circa 100 non hanno dato segni di vita nell’ultimo anno a causa del covid. I fumatori che si sono rivolti chiedendo aiuto per smettere sono più o meno 8000 e di questi meno del 50% riesce nell’intento di smettere. Sono dati che dimostrano la presenza di una frattura molto ampia tra le proposte che vengono dal monto scientifico ed il mondo dei fumatori. Intervenire sul fronte dei divieti e delle tasse è utile ma la storia dimostra che non è una politica proibizionista a risolvere i problemi della dipendenza. È chiaro che le proposte scientifiche, per quanto corrette, non piacciano. Peraltro la scienza medica non può rimanere indifferente nei confronti di chi è in difficoltà e continuando a fumare prima o poi si ammala e muore. Reiterare ad oltranza l’obiettivo di cessazione appare in questi casi stucchevole.
In questo quadro, che non pare esagerato definire fallimentare, si inserisce la questione del fumo elettronico che, come oramai tutti sanno, è un modo di inalare nicotina cercando di ridurre al minimo gli effetti della combustione. Lo stesso inventore della sigaretta elettronica (il cinese Hon Lik) aveva sviluppato questa idea non riuscendo a smettere di fumare. La letteratura scientifica che sostiene il principio della cessazione è assai corposa mentre le ricerche relative al fumo elettronico in confronto sono ancora relativamente poco numerose, anche perché i nuovi prodotti sono in circolazione da pochi anni. Essi però hanno il pregio di aprire una strada, di concedere una possibilità a chi non riesce a smettere e ineluttabilmente va incontro alla malattia. Su questo punto è il caso che gli studiosi si interroghino senza pregiudizi. La Gran Bretagna ha già da qualche tempo adottato il fumo elettronico come strategia di salute pubblica ed il sostegno della scienza a questa linea di azione appare convincente.
È evidente che esistono pregiudizi ed ostacoli nei confronti del fumo elettronico. Una delle ragioni potrebbe essere proprio nella non comprensione del concetto di riduzione del rischio. Essa è una strategia medica applicata in moltissimi ambiti ed è una forma di prevenzione parziale. Costituisce un’arma importante in tutti quei pazienti dominati dall’incertezza. È una forma di aiuto che deve essere comunicata in forma corretta e senza ambiguità. Essendo ampiamente utilizzata in medicina in ambiti come per esempio l’ipertensione, l’ipercolesterolemia, il diabete, le dipendenze, non si vede perché debba essere preclusa soltanto ai fumatori.
Ovviamente la proposta del fumo elettronico necessita di un setting preciso: non si tratta di avvallare l’idea di un fumo sano e non va rivolta ai giovani, come invece si è fatto erroneamente negli Stati Uniti. Deve esser chiaro a tutti che è una sorta di seconda linea da riservare ai fumatori incalliti: quelli che non vogliono smettere o che non riescono a smettere. Un recente lavoro di ricerca del 2020 effettuato presso il Centro Pasteur di Lille e finanziato dall’Istitut National du Cancer ha stimato la riduzione di tossicità del fumo elettronico rispetto al fumo analogico. Se la sigaretta vale 100 il fumo elettronico vale 1 ed il fumo freddo circa 23. La riduzione importante della inalazione dei prodotti della combustione non risolve la questione della dipendenza ma potrebbe giocare un ruolo molto significativo nell’abbattimento dei numeri di malati di cancro e non solo. Dinanzi alle tragiche certezze che arrivano dal fumo di sigaretta, il dogmatico rifiuto di fornire un aiuto alla popolazione dei fumatori resistenti alla cessazione appare francamente incomprensibile nell’ambito della lotta al cancro e alle malattie cardio vascolari in generale. L’esclusione di una strategia di riduzione del rischio nei fumatori resistenti alla cessazione potrebbe essere un fattore determinante nel fallimento delle politiche europee di contrasto alla malattia tumorale e pertanto si auspica una posizione pragmatica ed attenta rispetto alla popolazione dei tabagisti che appare in difficoltà.
L’autore: Fabio Beatrice è primario emerito e docente presso l’Università di Torino, fondatore del Centro antifumo dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino.