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Nuova Zelanda, lo spot del ministero della salute: “Spegni la cicca, accendi la sigaretta elettronica”

Contrariamente alle scelte italiane, i messaggi istituzionali che funzionano sono quelli che puntano sulla scelta di strumenti che consentono di ridurre le tossicità del fumo.

La Nuova Zelanda nel mondo è celebre essenzialmente per motivi sportivi: il rugby e la vela. Ora, però, è diventata anche un modello per le politiche sanitarie di contrasto al fumo. Negli ultimi anni si sono susseguite tre fasi: la prima ha introdotto il pacchetto di sigarette neutro, vietando cioè qualsiasi immagine o colore caratteristico che possa far riconoscere il prodotto. Il secondo step ha puntato sulla leva economica, alzando il prezzo del singolo pacchetto che può adesso oscillare dai 20 ai 30 euro. Il terzo passo, forse quello più importante, vuole sensibilizzare l’opinione pubblica con campagne di comunicazione istituzionali.
Il ministero della salute ha avviato proprio in questi giorni uno spot che sta girando in tutti i canali televisivi pubblici e privati in cui si vedono giovani, uomini, donne e anziani che “spingono” i fumatori ad abbandonare il tabacco tradizionale per passare alla sigaretta elettronica. Off the ciggies, on the vape”, spegni la cicca, accendi il vaping dice una ragazza all’inizio del filmato. Si susseguono quindi incitamenti e spinte gentili: “So che hai provato molte volte a smettere di fumare ma questa è la volta buona; “Svapare è molto meno dannoso e può aiutarti a smettere di fumare”. Insomma, il messaggio del ministero della salute è chiaro: chi vuole smettere di fumare può farlo scegliendo di utilizzare la sigaretta elettronica. In questo modo, come dice un’altra donna dello spot, “si è già ad oltre metà strada verso la cessazione”. Nelle immagini si vedono soltanto persone che parlano, non sono presenti nè liquidi da inalazione, nè sigarette elettroniche e neanche pacchetti di sigarette. Si è puntato sulle frasi e sul sorriso dei protagonisti: studenti, operai, impegati, pensionati. Persone comuni con un unico punto di contatto: aver smesso di fumare grazie alla sigaretta elettronica.
Le istituzioni italiane, contrariamente ai modelli neozelandese e britannico, mantengono un atteggiamento di ostilità nei confronti della sigaretta elettronica. Viene vista come una dipendenza analoga a tutte le altre, a prescindere dal fatto che sia molto meno dannosa. Public Health England ha stimato che la tossicità delle e-cig sia di circa il 95% inferiore rispetto a quella della sigaretta tradizionale. Questo perché non esiste combustione e di conseguenza non vengono prodotto le sostanze cancerogene contenute nel fumo. In Italia perfino i liquidi senza nicotina sono considerati alla stregua del tabacco tradizionale. Basti pensare che, oltre ad essere tassati, devono riportare la dicitura obbligatoria “Il prodotto può contenere sostanze pericolose per la salute” e il numero di telefono del Centro contro le dipendenze dell’Istituto superiore di sanità, un servizio pubblico che non raggiunge i 20 mila contatti all’anno ma che, nonostante il flop, continua a essere finanziato e mantenuto. Eppure l’atteggiamento di estremismo precauzionale italiano non sta portando alcun frutto. Il numero dei fumatori è praticamente fermo da oltre un decennio, non riesce a scendere sotto la soglia simbolica dei 10 milioni. Le campagne sino ad ora attivate dal ministero della salute sono sempre state focalizzate a incutere nel fumatore un senso di colpa oppure, per utilizzare la stessa parola scelta dal Ministero, una visione “scema” di se stessi. Laddove l’informazione e la comunicazione funzionano, e ritorniamo al Regno Unito, alla Nuova Zelanda ma ultimamente anche alla Francia, il messaggio è diametralmente opposto: “Se non riesci a smettere di fumare, scegli almeno qualcosa che faccia meno male”. Ma questo può farlo uno Stato Amico, quello che consiglia e suggerisce. In Italia, purtroppo, la visione è quella dello Stato Padrone che obbliga, vieta e sanziona. Diverse visioni che producono, immancabilmente, diversi e incontestabili risultati. E certamente non a favore delle politiche sanitarie italiane e della lotta contro il tabagismo.

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