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Nanny State Index: Italia fra i più liberi ma non per la sigaretta elettronica

Ritorna la classifica europea degli Stati che applicano misure “paternalistiche” su alcool, cibo e soft drink, tabacco ed e-cig.

È la politica sulla sigaretta elettronica a determinare in gran parte gli spostamenti dell’Italia nel Nanny State Index, la classifica europea degli Stati che applicano misure “paternalistiche” su alcol, cibo e soft drink, tabacco e sigaretta elettronica stilata da Epicenter (con la collaborazione dell’Istituto Bruno Leoni per la parte italiana) e curata da Christopher Snowdon, a capo del dipartimento Lifestyle Economics del think tank conservatore Institute of Economic Affairs. Partendo da un’ottica completamente liberale, questo indice valuta quanto i governi tendono con misure di vario genere a indirizzare la scelta dei cittadini, rendendo difficoltoso o ostacolando il consumo di prodotti legali.
I ricercatori valutano tre macro aree (cibo e bevande, alcol e nicotina): le prime due valgono il 33,3%, quella della nicotina è divisa in due, tabacco e sigarette elettroniche, e ciascuno è responsabile del 16,7% della valutazione. Ad ognuna di queste categorie si applicano poi sei criteri di valutazione: l’aumento dei prezzi (in seguito a tassazione o monopolio sulle vendite); la stigmatizzazione dei consumatori; la limitazione della scelta dei prodotti; il disturbo creato ai consumatori; i limiti posti all’informazione (per esempio con il divieto di pubblicità); la limitazione della qualità dei prodotti (per esempio con il divieto per gli aromi). In base ai risultati, viene stilata una classifica con quelli che gli autori definiscono “i posti peggiori in Europa per mangiare, bere, fumare e svapare”.
Per la seconda volta l’Italia si trova in fondo alla classifica, nella fascia verde, al 26esimo posto su 30 fra i Paesi giudicati più liberi. Nel nostro Paese, in fondo, non esistono particolari politiche tese a scoraggiare il consumo di determinati cibi e anche la cosiddetta sugar tax, prevista prima per il 2020 poi per quest’anno, è stata rimandata al 2022. La pubblicità sull’alcol è consentita e le tasse su birra e superalcolici sono fra le più basse in Europa. Non lo stesso si può dire per il vaping. La tassa monstre in vigore fino al 2018 aveva collocato l’Italia fra i Paesi meno liberi nel 2017 e 2018, mentre la sua abolizione l’aveva improvvisamente portata in fascia verde nel 2019. Nella classifica generale la palma del più illiberale va alla Norvegia, mentre il Paese più libero, al di là degli stereotipi, si conferma la Germania.
Le cose cambiano un po’, almeno per l’Italia, se si consulta invece l’indice relativo al solo vaping. Qui i criteri applicati sono i seguenti: per le restrizioni alla vendita di sigarette elettroniche assegnati 30 punti, quelle alla pubblicità ne valgono 10, l’imposizione fiscale 20 e i divieti di svapo al chiuso 40. Per quanto riguarda il vaping, i più liberi sono il Regno Unito, l’Irlanda e ancora la Germania (dove ancora non è in vigore la tassa prevista dal governo). L’Italia è al 23esimo posto su 30, in zona gialla, fra i Paesi liberi ma non fra i più liberi. È a pari merito con la Francia, probabilmente perché quest’ultima, pur non avendo imposizione fiscale, proibisce lo svapo in alcuni luoghi chiusi, cosa che l’Italia non fa. Insomma, il nostro posto in zona gialla è dato tutto dalla situazione fiscale. “Il governo ha deciso di rendere di nuovo lo svapo meno accessibile – spiega infatti l’indice – Ha aumentato l’imposta del 15% nel 2021 e ulteriori aumenti sono previsti per il 2022 e il 2023 (aumenti rispettivamente del 20% e del 25% rispetto all’aliquota del 2020). Anche le tasse sui liquidi che non contengono nicotina aumenteranno in modo incrementale del 20% entro il 2023”.

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