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Daniel Pryor, economista ricercatore del britannico Adam Smith Institute la definisce “l’opportunità d’oro” che, se ben sfruttata, potrebbe portare il Regno Unito a diventare leader nel campo della lotta al fumo, nella riduzione del danno da tabacco e salvare milioni di vite. Le tesi di Pryor sono raccolte in un documento edito dal prestigioso think tank conservatore e intitolato, appunto, “The golden opportunity, how Global Britain can lead on tobacco harm reduction and save milions of lives”. Il suggestivo concetto di “Global Britain” è uno su cui il governo di Johnson sta spingendo molto, deciso a far ritrovare al Paese, dopo l’uscita dall’Unione europea, un ruolo importante nello scenario internazionale. Nel campo diplomatico, in quello politico, quello teconologico-scientifico e anche in quello sanitario.
Che il Regno Unito non fosse più disposto a farsi dettare da altri regole in cui non credeva, era già apparso chiaro il mese scorso, quando l’Intergruppo parlamentare sul vaping aveva pubblicato il report conclusivo della sua inchiesta sulla sigaretta elettronica. Senza mezzi termini, i parlamentari chiedevano al governo di inviare alla prossima Conferenza delle parti della Convenzione quadro per il controllo del tabacco dell’Oms funzionari ed esperti pronti a difendere la riduzione del danno da fumo e l’e-cigarette, arrivando a chiedere il taglio dei finanziamenti alla Organizzazione di sanità, se questa avesse continuato a tenere “una posizione contraria alla politica del Regno Unito”.
Ora Pryor dà delle indicazioni precise su quello che il governo deve fare per raggiungere l’obiettivo di un Paese senza fumo entro il 2030 (dichiarato nel Libro verde del Ministero della salute nel 2019) e indicare la strada al resto del mondo. Nel Regno Unito, spiega l’autore, la promozione da parte della sanità pubblica delle sigarette elettroniche ha avuto un ruolo decisivo nella riduzione del numero dei fumatori. Ma oggi, spiega Pryor, questi progressi sono “minacciati dalla disinformazione sul vaping e da normative sfavorevoli sulle bustine di nicotina, il tabacco riscaldato e lo snus”. Per evitarlo, continua il documento, il Paese deve riformare quelle normative che ostacolano i fumatori dal passare alle sigarette elettroniche e agli altri strumenti che riducono il danno.
In particolare, l’autore suggerisce di approfittare dell’uscita dall’Unione europea per
- rimuovere le attuali limitazioni sulla pubblicità dei prodotti a basso rischio, sostituendole con controlli sui contenuti e il placement;
- sostituire i messaggi di avvertenza sui prodotti a basso rischio con comunicazioni specifiche del governo sul rischio
- rivedere i limiti alla concentrazione di nicotina nei liquidi da inalazione, stabilendo un nuovo limite che rifletta di modelli di utilizzo sicuri pre Tpd;
- abolire il limite di capacità per tank e atomizzatori, previsto dalla Tpd, mantenendo invece le misure di sicurezza appropriate come le chiusure anti-bambino e le avvertenze di sicurezza.
Il documento chiede poi di legalizzare lo snus e di applicare agli altri prodotti a rischio ridotto le stesse norme che si applicano alle sigarette elettroniche, compresi il divieto di vendita ai minori, in controlli sulle confezioni e il divieto di pratiche di marketing indirizzate ai più giovani.
L’Adam Smith Institute non dimentica l’Oms e il Cop9 del prossimo novembre, facendo di fatto sue le indicazioni dell’Intergruppo parlamentare. In sede internazionale il Regno Unito dovrà difendere la sua posizione sulla sicurezza e l’efficacia delle e-cig per smettere di fumare e opporsi attivamente all’adozione di qualsiasi raccomandazione che possa scoraggiare i fumatori a passare al vaping. “Il Regno Unito – scrive Pryor nelle conclusioni del documento – ha la possibilità di essere leader mondiale per migliorare la salute e benessere, preservando la libertà di scelta. Se scegliamo di non agire, qual era il senso della Brexit? Emendare le parti oscure della normativa non è il compito più stimolante, ma per milioni di fumatori nel Regno Unito potrebbe letteralmente significare la differenza tra la vita e la morte”. E non solo nel Regno Unito.