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Farmacisti e medici: una grande alleanza per la smoking cessation

Il fumatore non accetta di essere considerato un malato e deve essere accompagnato nel percorso con gradualità anche utilizzando i dispositivi elettronici di somministrazione di nicotina.

Creare una sinergia tra le diverse figure sanitarie e professionali che intervengono nella smoking cessation; utilizzare tutti gli strumenti a disposizione, farmacologici o elettronici, per aiutare il paziente ad abbandonare l’abitudine al tabacco; adeguare la comunicazione a seconda della persona che si ha di fronte. Sono i tre grandi suggerimenti rivolti alla classe medico-scientifica scaturiti al termine del webinar #nosmokeinfarmacia, progetto nato per contribuire a ottimizzare i percorsi di smoking cessation attraverso il coinvolgimento di farmacisti e medici di medicina generale. Sono intervenuti Carolina Carosio, farmacista territoriale di Savona, Martina Gangale, psicologa clinica dell’Università degli Studi dell’Insubria e Andrea Zanché, medico di medicina generale della Asl Pescara. Al centro della discussione, il ruolo che il farmacista può offrire nel processo di dismissione al fumo anche attraverso una corretta informazione sulle modalità alternative, come i trattamenti farmacologici, le terapie nicotiniche sostitutive, il supporto psicologico e i prodotti elettronici senza combustione (sigarette elettroniche e riscaldatori di tabacco).
Non esiste una terapia migliore di un’altra – ha spiegato Zanchè – Un conto è grande fumatore, un altro è adolescente che sta iniziando. Se abbiamo di fronte una persona che fuma trenta sigarette, la prima magari già dopo dieci minuti essersi svegliato, non possiamo farlo passare da tutto a nulla nell’immediato. L’armamentario farmacologico di cui disponiamo serve per rendere questo passaggio meno cruento. Il paziente deve essere accompagnato nel tempo e nel percorso attraverso anche un supporto motivazionale e psicologico. Obiettivo finale non è farlo continuare nella dipendenza ma farlo arrivare ad uno stop di qualsiasi prodotto in maniera graduale”.
Ha puntato su tre parole chiave, invece, Carolina Carosio: fiducia, empatia, comunicazione interprofessionale. “Bisogna imparare la giusta dialettica correlata al fumo. Il fumatore non accetta di essere considerato un malato, non viene inquadrato come tale sia nella sua sfera emotiva che relazionale. Viene addirittura definito il fumo come un brutto vizio, mentre tutti gli effetti si tratta di una dipendenza. Dobbiamo riuscire perciò ad arrivare alle persone con tutti i mezzi di comunicazione che abbiamo: non solo quando siamo dietro il banco ma anche utilizzando i più moderni di comunicazione o con il passaparola al di fuori dell’orario di lavoro. Per far sì che questo funzioni, è però fondamentale creare una sinergia tra tutti i professionisti impegnati nel percorso di cessazione. Occorre insomma un diretto collegamento tra farmacista territoriale e medicina territoriale. Lasciando alle istituzioni il compito di creare una comunicazione d’impatto, come ad esempio le foto sui pacchetti di sigarette. Ma poi spetta a noi tradurre il messaggio a seconda delle persone che abbiamo davanti e che differiscono per età, classe sociale, cultura”.
Un ragionamento analogo a quello esposto dalla psicologa Martina Gangale. “I dispositivi elettronici sono una ottima alternativa transitoria perché richiamano meccanismi psicologici legati alla gestualità che i pazienti tendono a dimenticare con grande difficoltà. L’aut aut in certe circostanze non è fattibile. Il fallimento rimane per sempre nella mente di un fumatore come una cicatrice e ricorderà che se non ce l’ha fatta una volta difficilmente ce la farà la seconda volta. È importante quindi intervenire per gradi e accompagnare il paziente verso la cessazione. Dobbiamo promuovere il nostro atteggiamento di professionisti che fanno rete. Se conduco programma di dismissione al fumo e poi il paziente non va in farmacia o non trova dispositivo che ho suggerito diventa tutto fallimentare”.

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