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Sigarette elettroniche: come, perchè e a chi giova il Contrassegno di Stato

Per arginare o mitigare eventuali responsabilità oggettive è fondamentale strutturare un modello organizzativo aziendale che preveda anche procedure produttive e regole di condotta chiare e severe.

Il D.L. 25 luglio 2018, n. 91 (convertito in L. 20 settembre 2018, n. 108) ha introdotto nel nostro ordinamento il comma 7-bis dell’art. 62-quater D.Lgs. 504/1995 che prevede l’applicabilità ai prodotti liquidi da inalazione delle disposizioni dettate dal testo unico doganale in materia di contrabbando (art. 291-bis D.P.R. 43/1973).
Ricordiamo che, ai sensi dell’art. 291-bis, commette il reato di “contrabbando di tabacchi lavorati esteri” “chiunque introduce, vende, trasporta, acquista o detiene nel territorio dello Stato un quantitativo di tabacco lavorato estero di contrabbando”. Le sanzioni previste dalla richiamata normativa sono gradate in funzione della gravità della condotta, valutata in relazione al quantitativo di tabacco estero di oggetto della violazione. E così, si applicherà la sanzione della multa di lire diecimila (oggi attualizzata in € 5,16) per ogni grammo convenzionale di prodotto (multa che, in ogni caso, non potrà essere inferiore a € 516,00) nel caso in cui la violazione abbia ad oggetto un quantitativo di tabacco estero di contrabbando non superiore ai dieci chilogrammi e la pena della reclusione da due anni a cinque anni ove, invece, il quantitativo di prodotto sia superiore a tale limite. Ovviamente le predette soglie di rilevanza sono calcolate, nell’ambito dei prodotti liquidi da inalazione “secondo il meccanismo di equivalenza di cui al comma 1-bis” del D.Lgs. 504/1995 che porta ad individuare la soglia limite di applicabilità della sanzione della multa (e quindi anche la soglia di rilevanza penale dell’illecito di contrabbando) in un quantitativo di Pli pari a 1776,20 ml.
Con una circolare dell’agosto 2018 (invero ancora nota a pochi giacché di natura interna per l’amministrazione delle dogane e dei monopoli), Adm – ancor prima dell’introduzione dell’obbligo di apposizione dei contrassegni di legittimazione – ha fornito una esemplificazione delle condotte integranti il reato di contrabbando, individuandole nelle ipotesi di introduzione, detenzione, vendita, trasporto o acquisto di: “1. Prodotti di provenienza extra-Ue, rilevati negli spazi doganali, introdotti senza il pagamento dell’imposizione fiscale vigente; 2. Prodotti non dotati di codice identificativo univoco (Ndr il c.d. Codice Pli) rilevati presso un soggetto autorizzato alla vendita (deposito fiscale o punto vendita); 3. Prodotti, dotati o meno di codice identificativo univoco, rilevati presso strutture all’ingrosso non autorizzate alla vendita (depositi non autorizzati)”. Tale esemplificazione, di fatto piuttosto lasca e generica, ha portato nel tempo gli organi accertatori a contestare e qualificare come contrabbando le più svariate condotte (soprattutto in sede di accertamento presso le rivendite) quali, a titolo esemplificativo, condotte consistenti nella mera detenzione di liquidi senza etichetta (dei quali, ad avviso degli organi preposti, non era accertabile la provenienza), ovvero di liquidi “vecchi” giacenti in magazzino e privi di codice Pli.
Oggi la situazione è parzialmente diversa. Ed infatti, l’obbligo di apposizione dei contrassegni di legittimazione ai fini della circolazione dei prodotti diviene di primario rilievo e l’eventuale assenza di tali contrassegni di legittimazione assurge a primo indice di “sospetto” di condotte integranti contrabbando.
Ciò posto, non cambia la soglia di rilevanza penale della condotta che, come noto a tutti, è davvero minima e insignificante, a fronte della movimentazione di merci che quotidianamente hanno i depositi fiscali italiani. In buona sostanza, l’errore nella movimentazione di soli 178 flaconi da 10 ml (errore umano che può dipendere da problemi in fase di spedizione, da errata gestione di ordini o da errato inserimento di dati nei software di magazzino) comporta – in caso di accertamento – l’inoltro della notizia di reato alla Procura della Repubblica e l’avvio di un procedimento penale a carico del responsabile (che, nel caso di struttura societaria, è ovviamente individuato nel legale rappresentante).
Senza tacere del fatto che, con Decreto legislativo del 14 luglio 2020, n. 75, il reato di contrabbando è stato annoverato dal legislatore tra i reati contemplati dal D.Lgs. 231/2001 (all’art. 25-sexiesdecies) che, come noto, disciplina la responsabilità amministrativa (da reato) degli enti, prevedendo delle significative sanzioni pecuniarie, interdittive (sospensione dell’attività, ecc.) a carico delle società che non abbiano adottato le guarentigie che la medesima normativa prevede a prevenzione delle condotte illecite.
Cosa fare, dunque, per arginare (o mitigare) tali responsabilità, evitando conseguenze dannose (in termini economici e di attività) per l’impresa e (in termini personali) per il suo legale rappresentante? La soluzione più valida appare quella di “sfruttare” proprio le previsioni dettate dal citato D.Lgs. 231/2001 – come nel tempo interpretate dalla giurisprudenza (che tanto si è soffermata sulle medesime) – adottando un modello organizzativo aziendale che consenta di prevenire efficacemente la commissione di illeciti (tra cui, per l’appunto, la commissione del reato di contrabbando) mediante la predisposizione di procedure e regole di condotta aziendale chiare e severe.
Tale processo di compliance comporta un profondo studio della realtà aziendale interessata (con individuazione delle aree di rischio di commissione dei reati; delle ipotesi di reato più rilevanti per l’attività sociale – nel caso di specie indubbiamente il contrabbando, ecc.), a cui farà seguito una fase di progettazione e di realizzazione del modello organizzativo, secondo crismi che consentano l’implementazione di meccanismi di prevenzione, controllo (anche mediante istituzione di un Organismo di Vigilanza a ciò deputato) e – da ultimo – sanzione delle condotte illecite.
La compiuta ed effettiva attuazione di un modello organizzativo ex D.Lgs. 231/2001 (che dovrà essere tailor-made) avrà l’indubbio vantaggio, in caso di condotte illecite integranti gli estremi dei reati contemplati nelle norme di riferimento, di (i) evitare sanzioni amministrative pecuniarie a carico della società; (ii) di mitigare o escludere la responsabilità penale degli amministratori per culpa in vigilando. Il tutto portando con sé anche il vantaggio collaterale di consentire una più puntuale ed efficace organizzazione dell’azienda nel suo complesso.

L’autore: Alberto Gava è avvocato del Foro di Roma, esperto del settore fumo elettronico, partner di Utopia Affari legali e societari.

(Articolo tratto da Sigmagazine #31 marzo-aprile 2022)

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