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Le proposte della scienza per vincere la lotta contro il fumo

Tavola rotonda con i maggiori esperti in materia di harm reduction e strumenti di somministrazione di nicotina a rischio ridotto.

Il fumo nuoce gravemente alla salute, eppure i fumatori in Italia sono 12,4 milioni: il 24,2% della popolazione (Campania, Umbria e Abruzzo sono le regioni dove si fuma di più). Gli uomini fumano di più tra i 25 e i 44 anni, le donne fumano maggiormente tra i 45 ed i 64 anni. Tra i maschi il 25,6% di chi fuma supera le 20 sigarette al giorno, mentre le grandi fumatrici donne sono circa 13,4%. Inoltre, nell’ultimo anno si è registrato un aumento di 800 mila unità rispetto al dato del 2019, che trova spiegazione anche nell’effetto pandemia Covid, visto che rispetto al 2021, nel 2022 si osserva una diminuzione di due punti percentuali della prevalenza del fumo di sigaretta. Il Ministero della Salute stima in 93 mila all’anno i decessi dipendenti dal fumo in Italia e questi dati hanno riportato all’attenzione degli studiosi e dei media la questione del fumo di sigaretta. Si è dibattuto di questo durante l’evento “Riduzione del danno come strategia di salute pubblica nell’eliminazione del fumo di sigaretta” organizzato da Motore Sanità con il contributo liberale di PMI Science. Alla tavola rotonda hanno partecipato i principali medici e ricercatori in materia di lotta al fumo applicata all’harm reduction.

Da sinistra: Fabio Beatrice e Umberto Tirelli

Il fattore di rischio più importante per i tumori – ha introdotto Umberto Tirelli, direttore sanitario e scientifico Clinica Tirelli Medical Group, Past Primario Oncologo Istituto Nazionale Tumori di Aviano- è il fumo delle sigarette, che bruciano e che emettono 60-70 sostanze cancerogene. Non è la nicotina la principale causa delle malattie correlate, ma le sostanze cancerogene che ci sono nel fumo delle sigarette che bruciano. Smettere di fumare e non iniziare è sempre la soluzione migliore, ma smettere per molti è difficile, per questi fumatori passare a prodotti privi di combustione – come viene suggerito in Gran Bretagna e in Nuova Zelanda dalle autorità sanitarie perché ritenuto potenzialmente meno dannoso – sarebbe consigliabile rispetto a continuare a fumare sigarette”.
Ha fatto seguito l’intervento di Riccardo Polosa, fondatore del Centro di ricerca per la riduzione del danno da fumo di Catania (Coehar): “È un dato di fatto che in Italia ci sono milioni di fumatori che non vogliono o che non riescono a smettere, non accettano di essere medicalizzati per via della loro abitudine tabagica. In Italia, ancora oggi, non abbiamo una politica sanitaria che si prenda carico di queste persone. La riduzione del rischio rappresenta la soluzione, un’opportunità straordinaria di cambiamento e di accelerazione in termini di salute individuale e pubblica. Ritengo grave insistere nel nascondere ai cittadini le reali opportunità offerte dagli strumenti a potenziale rischio ridotto, addirittura additandoli come pericolosi al pari delle sigarette convenzionali. Bisogna smetterla di enfatizzare i rischi senza considerarne i benefici. L’Italia deve riaccendere i riflettori sulla sensibilizzazione antifumo, integrando il principio di precauzione con quello del rischio ridotto”.

Lo psichiatra Fabio Lugoboni

Un focus sull’inefficacia dei centri antifumo ha caratterizzato invece l’intervento di Fabio Beatrice, primario emerito di Otorinolaringoiatria a Torino e fondatore del Centro Antifumo Ospedale San Giovanni Bosco di Torino: “I centri antifumo rappresentano l’approccio migliore del Sistema Sanitario nella lotta al fumo di sigaretta, ma sono diminuiti e attualmente sono 223. La Regione con più centri antifumo è il Piemonte. Purtroppo l’affluenza nei centri antifumo è molto bassa e i fumatori che tendono a cercare di smettere da soli in gran parte falliscono. Inoltre non riesce a smettere oltre il 50% dei fumatori che si rivolge ai centri antifumo, pur in osservanza delle linee guida. Si ritiene che sia necessario interrogarsi sugli insuccessi, rivedendo più in generale le politiche di contrasto al tabagismo e le politiche di prevenzione per prevenire l’iniziazione delle nuove generazioni”.
Atteso anche l’intervento di Fabio Lugoboni, direttore dell’unità sanitaria ospedaliera Medicine delle dipendenze  di Verona e docente di di psichiatria presso l’Università di Verona: “Purtroppo, la cessazione del fumo tende ad essere vista come un problema personale, legato alla sola forza di volontà. Il fumo è invece una dipendenza legalizzata, e necessita di supporto e terapia specifici, pena un’alta percentuale di insuccesso. Gli auto-tentativi tendono a fallire nell’80% dei casi entro la prima settimana. Ogni medico, ogni operatore di salute deve fare la sua parte, ma questo non sta accadendo, anche perché in Italia fuma un medico su 4, contro il 3% di medici fumatori di Gran Bretagna e USA”. Un punto di vista interessante che ha esaminato gli aspetti economici del fenomeno è quello di Francesco Saverio Mennini, professore di Economia sanitaria e economia politica: “È inecessario far comprendere ai decisori i costi del fumo di sigaretta sostenuti dal sistema nel suo complesso, in termini di ricoveri, visite specialistiche e test diagnostici, disabilità e perdita di produttività. Sarebbe quindi ideale creare uno studio che analizzi a 360° il risparmio economico se i fumatori passassero completamente ai sistemi smoke free”. In conclusione di giornata è intervenuto per un saluto istituzionale anche Francesco Zaffini, neo presidente della Commissione affari sociali e sanità del Senato: “È opportuno vagliare la strategia di riduzione del danno, insieme ad una più ampia strategia di prevenzione delle dipendenze”.

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