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Il fumo crolla più velocemente dove è più diffusa la sigaretta elettronica

Una revisione dello svedese Fagerström ha comparato i Paesi che promuovono gli strumenti di riduzione del danno e i loro confinanti.

I Paesi dove si registra un alto tasso di adozione di prodotti con nicotina alternativi al fumo – sigarette elettroniche, riscaldatori di tabacco, snus – sono riusciti più degli altri a far diminuire il numero dei fumatori. A dimostrarlo è una revisione pubblicata su Harm Reduction Journal, condotta dal noto scienziato svedese Karl Fagerström. Il titolo del lavoro è molto suggestivo: “I prodotti con nicotina possono mettere l’ultimo chiodo sulla bara del fumo?”. Ci si chiede, cioè, se gli strumenti a rischio ridotto possono essere l’arma finale per sconfiggere il tabacco combusto e tutti i danni sanitari ad esso correlati.
Per rispondere a questa domanda, Fagerström ha esaminato le tendenze della prevalenza del fumo in Paesi con una diffusione relativamente alta di prodotti alternativi, paragonandoli poi alle nazioni vicine ma con una minore adozione di questi prodotti. I Paesi presi in esame sono Regno Unito, Nuova Zelanda, Svezia, Norvegia e Giappone, comparati alla media dei 27 membri dell’Unione europea, Danimarca, Finlandia e Australia. La scelta dello scienziato svedese copre tutto lo spettro dei prodotti con nicotina alternativi, perché mentre nel Regno Unito e in Nuova Zelanda le autorità politiche sanitarie hanno puntato sul vaping, in Svezia e Norvegia l’alternativa più diffusa è lo snus e in Giappone è il tabacco riscaldato a farla da padrone. I dati esaminati provengono dalle indagini nazionali utilizzate dall’Organizzazione mondiale di sanità
I risultati dimostrano che in tutti i casi presi in esame, i Paesi che hanno adottato gli strumenti di riduzione del danno hanno accelerato la riduzione del fumo rispetto ai loro vicini. Fra il 2014 e il 2020 i fumatori nel Regno Unito sono calati del 4%, il doppio rispetto al 2% degli altri 27 Paesi membri dell’Ue. Nello stesso periodo l’uso della sigaretta elettronica Oltremanica era al 6,4% e nel resto dell’Unione al 2%. Questi risultati sono ancora più evidenti dall’ultimo rapporto dell’Office for National Statistics, che non è stato preso in considerazione nella revisione, che vede una ulteriore diminuzione dei fumatori.
Discorso analogo per il paragone fra Nuova Zelanda e Australia, due Paesi con simili misure per il controllo del tabacco ma politiche completamente divergenti sulle sigarette elettroniche. Il governo neozelandese, che incoraggia il passaggio al vaping, ha visto un’accelerazione della riduzione dei tassi di fumo, che non c’è stata nel Paese vicino. Anche in questo caso la cronaca supera la letteratura scientifica e il New Zealand Health Survey 2021/22, pubblicato lo scorso novembre, mostra un ulteriore calo dei fumatori, giunti al minimo storico dell’8%, e addirittura il sorpasso degli svapatori, passati dal 6,2% dello scorso anno all’8,3%.
Fagerström registra scenari simili anche per quanto riguarda Svezia, Norvegia e Giappone. La diffusione dello snus nei primi due e del tabacco riscaldato nel terzo hanno dato una valida alternativa ai fumatori con il risultato che questi ultimi sono diminuiti molto di più che nei Paesi vicini, che non adottavano politiche di riduzione del danno. Addirittura già nel 2019 il Giappone contava meno fumatori dell’Australia (rispettivamente 13,1% e 14,7%), che pure vanta politiche di controllo del tabacco molto più restrittive. Solo nel 2016 le parti erano invertite e il Giappone contava il 18,3% di fumatori, rispetto al 15,7% dell’Australia.
I risultati suggeriscono – scrive quindi l’autore della revisione – che l’adozione di prodotti alternativi con nicotina può aiutare a ridurre la prevalenza del fumo più velocemente rispetto alle tradizionali misure di controllo del tabacco focalizzate esclusivamente sulla prevenzione e la cessazione”. Ma Fagerström non si ferma qui e chiama direttamente in causa l’Organizzazione mondiale di sanità, che dovrebbe fare da apripista nel proporre azioni contro il fumo e invece “si basa esclusivamente sul meccanismo del trattato della Convenzione quadro per il controllo del tabacco e sulle misure Mpower che non hanno accelerato il progresso globale nella riduzione del consumo di sigarette o della mortalità da tabacco”. Misure che potrebbero, invece, diventare efficaci, se affiancate dalla promozione degli strumenti di riduzione del danno.
Quello che è certo – conclude Fagerström – è che non si può andar avanti così. Lo studio Global Burden of Disease del 2019 stimava che c’erano 0,99 miliardi di fumatori nel mondo nel 1990, dato che è arrivato a 1,14 miliardi nel 2019. Nel 2021, l’Oms ha stimato che il numero di fumatori nel 2020 fosse di 0,99 miliardi, esattamente la stessa cifra del 1990. È evidente che sono necessarie politiche più audaci, inclusa l’approvazione della riduzione del danno, per mettere l’ultimo chiodo nella bara del fumo”.

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