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Errori metodologici in molti studi sui vapori delle sigarette elettroniche

Inaffidabile, secondo una revisione, gran parte della letteratura scientifica sulla presenza di sostanze tossiche nelle e-cig.

La maggior parte degli studi di laboratorio tesi a quantificare la produzione di sottoprodotti organici potenzialmente tossici (carbonili, monossido di carbonio, radicali liberi e alcuni composti non mirati) nelle emissioni di aerosol di sigarette elettroniche, presenta errori metodologici che rendono le loro conclusioni parzialmente o totalmente inaffidabili e di scarsa rilevanza per gli utenti finali. Sono queste le conclusioni di una revisione di studi condotta da Roberto Sussman dell’Istituto di scienze nucleari della National Autonomous University of Mexico e Sebastien Soulet della francese Ingesciences che, dopo aver esaminato la letteratura scientifica sulla presenza di composti metallici nell’aerosol delle e-cigarette, hanno esaminato quella sui sottoprodotti organici. La loro revisione, intitolata “Critical Review of the Recent Literature on Organic Byproducts in E-Cigarette Aerosol Emissions”, è stata pubblicata pochi giorni fa su Toxics.
I due scienziati hanno esaminato 36 studi di laboratorio condotti fra il 2018 e il 2022, concentrandosi in articolare sulla coerenza fra i protocolli usati per i test e le reali condizioni di utilizzo dei consumatori. Detto più semplicemente, hanno controllato che le sigarette elettroniche non venissero sottoposte a regimi che producono, per esempio, tiri a secco o bruciassero le resistenze. Tutti fattori che le rendono inutilizzabili per gli svapatori. Anche in questo caso Sussman e Soulet hanno rilevato numerosi errori metodologici. Il principale, presente in 18 studi su 35, è quello di testare i dispositivi sub-ohm con i parametri del protocollo Coresta, ideato per valutare le prime sigarette elettroniche a bassa potenza. “Testare dispositivi sub-ohm con questo protocollo – spiegano gli autori – è molto probabilmente irrealistico, poiché questi dispositivi sono utilizzati principalmente per lo svapo di guancia (Dtl) che comporta flussi d’aria e volumi di sbuffo molto più elevati”.
Gli altri problemi di ordine metodologico rilevati sono: assenza di informazioni importanti sui dispositivi, i parametri di tiro e le gamme di potenza utilizzate, che non solo rendono i risultati degli studi di difficile interpretazione, ma ne impediscono anche di replicarli. Poi: valutazioni fuorvianti del rischio per la salute, dovute all’assunzione di esiti anomali come rappresentativi o al semplice calcolo errato delle esposizioni; l’utilizzo di dispositivi vecchi senza specificare le loro condizioni attuali. Infine un classico, tiri eccessivamente frequenti e di durata troppo lunga. “La radice principale di questi problemi metodologici – scrivono gli scienziati – deriva dalla mancanza di comprensione della fisica termica coinvolta nella formazione di aerosol in un dispositivo di svapo, basata sull’equilibrio di varie temperature scambi (soprattutto tra vaporizzazione di e-liquid per potenza erogata e convezione forzata per formare aerosol per condensazione), un equilibrio che porta (se rotto) a condizioni di surriscaldamento anormali e un fenomeno di tiro a secco con pirolisi dello stoppino”.
Ancora una volta, insomma, il mercato delle sigarette elettroniche si evolve molto più velocemente dei protocolli per gli studi di laboratorio. Infatti Sussman e Soulet insistono sull’urgenza di aggiornare lo standard Coresta, adattandolo ai nuovi dispositivi. È necessario, inoltre, porre maggiore attenzione degli studi alle abitudini di svapo dei consumatori, coinvolgendoli negli studi per evitare di riprodurre condizioni di uso irrealistiche. In ogni caso, aggiungono gli autori, “gli studi che hanno testato i dispositivi con ragionevole approssimazione a condizioni realistiche hanno rilevato che i livelli di tutti i sottoprodotti organici sono trascurabili o di ordini di grandezza inferiori rispetto al fumo di tabacco”.

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