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“Sono sicuro al 100% che le sigarette elettroniche siano l’unica via da seguire per migliorare la salute pubblica”. Così il professore Riccardo Polosa, ordinario di medicina interna e fondatore del Coehar dell’Università di Catania, ha introdotto il suo intervento durante la conferenza stampa intitolata “Riduzione del danno da fumo: Ricerca Coehar e punto di vista dei giovani” che si è tenuta ieri, martedì 25 giugno, nella sala Caduti di Nassirya del Senato della Repubblica. Lo scopo era consegnare al presidente della Commissione sanità del ramo del Parlamento il documento di sintesi redatto dagli studenti dell’ateneo nel corso del No Tobacco Day dello scorso maggio. In realtà l’evento è stato anche e soprattutto l’occasione per fare chiarezza sulle evidenze sulla sigaretta elettronica e illustrare l’incessante lavoro di ricerca del Centro di eccellenza sulla riduzione del danno da fumo catanese. Oltre al fondatore, al tavolo coordinato da Valeria Nicolosi, sono intervenuti anche la dottoressa Lia Emma, il professor Giovanni Li Volti e i senatori Maria Domenica Castellone e Ignazio Zullo
Nel suo saluto introduttivo la vicepresidente del Senato Castellone, ospite dell’evento, ha sottolineato la necessità di dare rilevanza e attenzione alla ricerca italiana che, nonostante i pochissimi fondi stanziati a suo favore, produce risultati di altissimo livello. Come quelli snocciolati dal professore Giovanni Li Volti, ordinario di biochimica e direttore del Coehar, centro fondato nel 2018 che ha all’attivo 250 pubblicazioni su riviste scientifiche e si avvale della collaborazione di 90 membri fra i quali, oltre a medici e scienziati, si contano accademici delle facoltà di fisica, giurisprudenza e scienze politiche, tutti aspetti coinvolti dal tema del fumo.
Al momento, ha spiegato Li Volti, il Coehar ha all’attivo dieci progetti di ricerca. Fra principali, c’è il progetto Replica, coordinato dallo stesso Li Volti, che riproduce in laboratorio studi già compiuti sul fumo per confermarne la validità. C’è poi il progetto Veritas, coordinato da Polosa, che ha arruolato mille partecipanti che usano la sigaretta elettronica senza mai aver fumato prima. Questo lavoro sarà estremamente importante per valutare i reali eventuali rischi del vaping, senza correre il rischio che alcuni effetti derivino dalla precedente storia di fumatori degli utilizzatori. Altri progetti importanti, di cui vi abbiamo spesso parlato su queste colonne, ci sono Diasmoke, che si occupa di fumo e pazienti diabetici, e Smile sulla salute orale.
L’appassionato intervento di Riccardo Polosa si è aperto con l’espressione della sua insofferenza per tutta l’informazione mediatica e scientifica che circonda la sigaretta elettronica e per un approccio che si concentra solo su eventuali rischi per la salute, senza valutarne anche i benefici. Il professore catanese racconta di essersi interessato al tema anche in seguito a un confronto con l’oncologo Umberto Veronesi, un altro che vedeva nel vaping una possibile soluzione al problema del fumo. Fu proprio l’Università di Catania, racconta Polosa, a produrre il primo studio sulla sigaretta elettronica, impostato nel 2010 e pubblicato nel 2013.
Da allora è stata fatta molta strada. È “super assodato”, dice il professore, che l’e-cigarette aiuti a smettere di fumare più dei prodotti farmaceutici disponibili. Lo confermano le numerose revisioni di studi clinici randomizzati da anni pubblicate da Cochrane, “la Bibbia della ricerca scientifica”. Polosa cita anche alcuni lavori del progetto Replica, da cui emerge che l’aerosol di sigaretta elettronica non induce citotossicità né mutazioni genetiche. “È assurdo – commenta – dire che svapare fa venire il cancro”.
Oltre agli studi clinici, però, ci sono anche quelli a livello di popolazione. E qui Polosa cita una serie di dati. Il più recente National Youth Tobacco Survey rivela che il fumo fra i giovani americani è arrivato allo 0,5%, un trend in calo accelerato dalla comparsa della sigaretta elettronica (il cui uso è ora è anche in forte calo fra i giovani dopo il picco del 2019). “Secondo i parametri dell’Oms – commenta Polosa – questo equivale all’eradicazione del tabagismo”. Ci sono poi i dati del Regno Unito, paese che ha abbracciato il vaping a livello istituzionale, che registra un tasso di calo dei fumatori doppio rispetto ai paesi dell’Unione Europea. C’è il Giappone, dove si è diffuso il tabacco riscaldato e in sei anni il mercato del tabacco si è ridotto del 50%. Questo si è tradotto in un calo del 20% delle ospedalizzazioni per Bpco e infarto del miocardio, malattie notoriamente fumo-correlate.
Ancora Riccardo Polosa cita la Svezia, unico paese che può fornire dati sul consumo di nicotina senza combustione, grazie alla diffusione dello snus, vietato nel resto dell’Europa. La Svezia registra tassi di tumori e patologie fumo-correlate molto più bassi non solo del resto del continente ma anche della Danimarca, paese affine per cultura, società e etnicità. C’è infine il paragone fra la Nuova Zelanda e l’Australia. Il primo dal 2020 ha abbracciato il vaping, elaborando una legislazione basata sul rischio relativo e spingendo attivamente i fumatori a passare alla sigaretta elettronica. Il secondo demonizza lo svapo e consente di acquistare i prodotti del vaping solo dietro presentazione di ricetta medica, quasi un divieto di fatto. Ebbene per la prima volta nella storia il tasso di fumo in Nuova Zelanda è più basso di quello in Australia, dove lo svapo giovanile è molto più alto che fra i neozelandesi. Non solo. Secondo gli ultimi dati il 92% dei prodotti del vaping utilizzati in Australia è di provenienza illegale, cioè non soggetta ad alcun tipo di controllo. Un regalo alla criminalità.
Le ultime parole del professore catanese sono per l’Organizzazione mondiale di sanità che, nonostante tutte queste evidenze, si ostina a contrastare e diffondere disinformazione sugli strumenti di riduzione del danno. “Questo può solo dire – commenta amaramente – che le persone a capo dell’Oms devono avere gravi conflitti di interessi”. In ogni caso, secondo Polosa, la sigaretta elettronica rappresenta una vera rivoluzione per la salute. “Siamo nell’epoca dell’alternativa – conclude – Non dobbiamo più dire ai fumatori: smetti o muori. Ora c’è una alternativa che riduce il rischio per quei fumatori che non vogliono o non riescono a smettere di fumare”. Politica permettendo, naturalmente.